Fecondazione primo test pre-impianto in ospedale

Il messaggero
Carla Massi

La novità

Roma – E’ ancora un giudice a decidere per un trattamento sanitario. Un’altra sentenza, questa volta del tribunale di Roma, “dribbla” la legge 40 sulla fecondazione artificiale e permette ad una coppia di eseguire una diagnosi preimpianto. Una coppia non sterile ma portatrice di fibrosi cistica (una malattia genetica) che vuole avere un figlio senza trasmettergli le stesse mutazioni al corredo del dna. L’esame, primo in Italia, sarà eseguito in un centro pubblico: l’unità operativa di Fisiopatologia per la fecondazione assistita del S. Anna a Roma diretto dal professor Antonio Colicchia. Il tribunale ha stabilito che «l’intervento sarà effettuato direttamente presso una propria struttura».

La malattia

Anche a Cagliari il tribunale aveva obbligato un centro pubblico ad eseguire il test. Fu, però, fatto in una struttura convenzionata. Questa volta la diagnosi per Rosetta Costa e Walter Pavan avverrà all’interno dell’ospedale pubblico. La coppia, sostenuta dall’associazione Luca Coscioni, ha visto accolta la richiesta di ottenere il test per evitare che un secondo figlio fosse affetto da una patologia invalidante come la fibrosi cistica. «Così – commenta Colicchia – si apre la possibilità anche a coppie affette da altre malattie genetiche come la microcitemia di sapere in anticipo se il figlio nascerà sano». Altre quattro coppie sarde si stanno muovendo in questa direzione. Queste hanno un rischio del 25% di dare alla luce un bimbo malato. La diagnosi preimpianto è utilizzata nei centri privati di fecondazione assistita dal 2009 quando la sentenza della Corte Costituzionale abrogò il divieto di fecondare più di tre ovociti riaprendo la possibilità di crioconservare gli embrioni in eccesso o malati che in ogni caso devono essere tenuti zottozero.

La battaglia

«La decisione del tribunale di Roma – dice Filomena Gallo avvocato segretario dell’Associazione Luca Coscioni – è stata di importanza fondamentale. Perché ha reso direttamente applicabile nel nostro ordinamento una sentenza della Corte europea per i diritti dell’uomo senza rinviare la legge alla Corte Costituzionale». Il presidente della commissione Politiche sociali e salute del Consiglio regionale del Lazio Rodolfo Lena ha seguito passo passo la battaglia legale della coppia: «La migliore risposta possibile a chi pensava che il settore pubblico non potesse essere in alcun modo concorrenziale nel campo della genetica e della fecondazione assistita. Il sistema sanitario regionale farà da calmiere rispetto ai costi molto elevati della diagnosi genetica pre-impianto».

L’attacco

Molto critica la parlamentare Pdl Eugenia Roccella ex sottosegretario alla Salute con delega alla bioetica. Parla di “dubbi” e “criticità”. «In primo luogo – è il suo commento – la legge 40 permette l’acceso alla procreazione assistita solo alle coppie infertili: è impossibile, quindi, adottare in modo generalizzato la diagnosi preimpianto senza violare la legge su un punto fondamentale che nemmeno la Corte Costituzionale ha modificato. Ma le maggiori criticità riguardano il delicato equilibrio del sistema sanitario, tra risorse e prestazioni. L’interventismo dei tribunali rischia di mettere in seria crisi la sanità pubblica».