Quel pasticciaccio di Stamina

L’Espresso
Letizia Gabaguo

II Comitato scientifico dell’Istituto superiore di sanità ha bocciato il metodo Stamina, messo a punto dallo psicologo esperto di marketing della salute Davide Vannoni. II Parlamento aveva approvato addirittura un provvedimento ad hoc per dotare di 3 milioni di euro una sperimentazione su scala nazionale per verificare l’efficacia delle infusioni immaginate da Vannoni. Con la bocciatura dell’Iss, non sarà semplice per il ministro della Salute Beatrice Lorenzin decidere se procedere o meno con la sperimentazione. Il ministro ha in mano il pronunciamento dei saggi dell’Iss, ma ha anche sulla scrivania tutte le carte che avevano spinto l’Agenzia italiana per il farmaco a chiudere il laboratorio degli Spedali Civili di Brescia dove, prima della bufera mediatica, Vannoni trattava i suoi pazienti e dove, per sentenza di un giudice, ancora oggi ci sono almeno 40 pazienti in trattamento e 150 in lista di attesa.

Cosa dovrebbe decidere Lorenzin? Decidetelo voi dopo aver letto parte di quelle carte: il documento “Indagine amministrativa diretta a verificare la regolarità dei trattamenti eseguiti con cellule staminali presso l’azienda ospedaliera Spedali Civili di Brescia nell’ambito della collaborazione con la Stamina Foundation onlus di Torino”, redatto dagli esperti dello stesso ministero, del Centro Nazionale Trapianti e dell’Aifa che il 23 e 24 maggio 2012 hanno condotto un’ispezione nell’ospedale lombardo. E che “l’Espresso” ha potuto leggere: la maggior parte dei contenitori delle cellule criocongelate non sono etichettate in maniera completa; non si capisce su quali basi si decida la dose della terapia e in molti casi, comunque, la dose effettivamente somministrata è diversa da quella dichiarata; non vengono eseguiti i test per scongiurare le principali infezioni, come epatite B e C e 111V.

La documentazione riguarda 12 pazienti, 8 adulti e 4 bambini, affetti da patologie piuttosto diverse fra loro, alcune di origine genetica altre no: dal Parkinson all’atrofia muscolare spinale, dall’asfissia cerebrale neonatale alla malattia di Niemann Pick A. Qui gli ispettori rilevano la prima anomalia: in alcuni casi manca la documentazione che attesti l’urgenza di sottoporre questi pazienti alla terapia. Comunque, per tutti sono previsti 5 cicli di infusione, in alcuni casi con cellule autologhe, cioè dello stesso malato, in altri con cellule di donatore. Mancano i referti: ci sono due casi pediatrici, affermano gli ispettori, per cui si decide l’utilizzo di cellule del bambino stesso, dal momento che la malattia non è genetica. Ma uno dei due riceve invece cellule da donatore e “nella documentazione allegata relativa alla donazione non sono presenti i referti di alcuni esami previsti per il donatore; in particolare non sono disponibili i risultati dei test per sifilide, HIV I e 2 e NAT (test che identifica e quantifica gli acidi nucleici, ndr.) per i tre virus B, C, HIV».

Insomma nessuno è andato a vedere se si stavano iniettando cellule infette, come ogni norma, e anche il buon senso, prevede. Non solo: c’è un paziente adulto che doveva ricevere un’infusione di cellule sue proprie; invece gli somministrano quelle di un suo familiare, senza che da qualche parte sia specificato il grado di parentela. Già, perché citando la Relazione, «non risultano evidenti (…) i criteri adottati per la selezione dei donatori allogenici sia familiari che non familiari». Infine, nel caso di due adulti affetti da patologie genetiche viene indicata la necessità di utilizzare cellule da donatore. Risulta poi che uno dei malati abbia ricevuto le cellule da un solo donatore, «mentre il secondo paziente abbia ricevuto cellule provenienti da due diversi». Senza saperlo però, visto che «nel consenso informato sottoposto al paziente non risulta tale comunicazione. E d’altra parte la relazione annota diverse lacune per quanto riguarda la presa d’atto dei malati di ciò che il medico va a fare su di loro: in alcuni casi mancano le firme, le date, in altri non è specificato il grado di parentela di chi appone la firma; ci sono moduli non firmati né dal paziente né dal medico, moduli dove non è specificata la patologia che si deve trattare, in molti manca la data, in altri casi manca proprio tutto il documento.

Ma se la faccenda del consenso informato vi sembrasse una questione “burocratica”, provate a leggere come venivano decise le cure dei malati: «Dal confronto del protocollo e il Foglio di lavorazione, risulta che non vi è sempre corrispondenza tra il numero di cellule previste dal protocollo stesso e quelle effettivamente infuse. Su 56 infusioni effettuate, solo in 7 casi i dosaggi previsti corrispondevano a quelli realmente infusi. Negli altri casi la discrepanza varia tra circa la metà a più del doppio della dose prevista». Chiamiamolo laboratorio: nell'”Ospedale dei bambini” del nosocomio bresciano esiste realmente un laboratorio che svolge attività di manipolazione e criopreservazione di cellule staminali ematopoietiche ai fini del trapianto. E’ una procedura non del tutto sovrapponibile a quella del metodo Stamina, ma aldilà delle specifiche tecniche almeno un laboratorio specializzato c’è.

Già, ma com’è? Così lo descrivono gli ispettori: «La struttura del laboratorio ed il relativo accesso dall’esterno non sono tali da garantire la protezione del prodotto da contaminazioni ambientali. Infatti, la precamera che funge da spogliatoio non è un locale classificato e non consente un’adeguata vestizione del personale che deve accedere al laboratorio in quanto funge anche da piccolo deposito di materiale e documentazione». Poi non si capisce chi può entrare e a fare cosa: non ci sono infatti indicazioni sugli operatori che effettuavano la manipolazione cellulare. E, in assoluto, gli ispettori non riescono a scoprire cosa realmente accada in quel laboratorio. Lo sanno solo gli uomini di Stamina. «Una volta effettuato il prelievo bioptico in sala operatoria, il campione veniva posto in un contenitore, chiuso ermeticamente, inserito in una busta sterile sigillata e consegnato al biologo per il trasporto ai Laboratorio Cellule Staminali, dove il personale della Stamina effettuava tutte le successive operazioni secondo una metodica di cui non erano a conoscenza né il personale del Laboratorio, né i clinici».

II segreto sulla procedura è tale che non esistono, o almeno non sono stati consegnati agli ispettori, i consueti documenti che accompagnano le manipolazioni di laboratorio: non ci sono prove che siano state valutate l’attività biologica e la potenza farmaceutica della preparazione, e neanche la presenza di contaminanti. Non è garantita la tracciabilità: non è nota la natura dei reagenti usati nel processo produttivo, il produttore, il lotto, la data di scadenza. Ma, soprattutto «non risulta essere stata effettuata alcuna convalida del processo produttivo, né essere stata determinata la vita utile delle cellule, in funzione dell’attività biologica desiderata non è possibile sapere se si tratti di una preparazione attiva o di acqua fresca. Infine, «non è descritto alcun razionale in base al quale è stata stabilita la dose da somministrare, né sono state definite la dose minima efficace, la dose ottimale e la dose massima somministrahile».

Dosi che, come abbiamo visto, non venivano comunque rispettate in sede di infusione. Come è possibile che tutto questo sia successo in un ospedale pubblico? Se lo chiedono in molti. Ai quali serve ricordare che non solo è successo. Ma sta succedendo.