Che cosa sono le staminali

Corriere della Sera
Roberta Villa

Parlando di staminali è facile fare confusione. Si sentono chiamare così infatti le cellule che in Italia è vietato prelevare dagli embrioni, ma anche quelle utilizzate tutti i giorni nei reparti di ematologia per curare le leucemie o altre forme di cancro. Si parla di conservarle a partire dal cordone ombelicale, ma anche di colpirle per estirpare i tumori alla radice. Insomma, sotto questo termine si raccolgono tipi di cellule molto diverse tra loro, che presentano problematiche e offrono prospettive terapeutiche molto differenti. Anche gli esperti non sono sempre d’accordo su quali debbano effettivamente ricevere questa etichetta, che in linea di principio si applica a cellule con due caratteristiche: «La prima è che sono in grado di moltiplicarsi quasi all’infinito, mentre tutte le altre cellule dell’organismo, dopo che si sono divise un certo numero di volte, esauriscono la loro capacità di riprodursi» spiega Ruggero De Maria, direttore scientifico dell’Istituto Regina Elena di Roma, uno tra i massimi esperti italiani in questo settore. Questa capacità di proliferare fornisce una riserva di cellule per la formazione dell’organismo durante il suo sviluppo nell’utero e poi, dopo la nascita, per rinnovare i tessuti che invecchiano o sono danneggiati. «In secondo luogo, diversamente dalle cellule mature, per esempio i neuroni o i globuli rossi, che hanno un aspetto definito e svolgono un ruolo ben preciso, le staminali sono in grado di evolversi verso tipi cellulari molto diversi tra loro» precisa il ricercatore. Le uniche staminali che però possono dirsi veramente totipotenti, e quindi capaci di dare origine a un intero individuo, sono quelle prodotte dalle primissime divisioni della cellula generata dall’unione tra spermatozoo e cellula uovo: se il grumo di poche cellule che costituisce questa prima monta, come viene chiamata, si scinde in due parti, infatti, possono nascere due gemelli identici. Bastano pochi giorni di sviluppo però e già questa possibilità va persa: quelle che normalmente sono chiamate cellule staminali embrionali si prelevano in questa fase successiva e sono dette pluripotenti perché possono evolversi verso qualunque tipo di cellula, della pelle o del sangue, del cervello o dell’osso, ma, a differenza delle totipotenti, non possono più formare i tessuti extraembrionali come la placenta. «Dopo l’impianto dell’embrione nella parete dell’utero le cellule diventano meno versatili» interviene Paolo Bianco, docente di Anatomia patologica all’Università La Sapienza di Roma, anch’egli un’autorità in questo campo. «Da questo momento in poi i percorsi sono separati: le cellule destinate a formare la pelle o il sistema nervoso non potranno più produrre il fegato o il sangue; quelle assegnate a ossa, muscoli e cuore non saranno più in grado di formare cervello o intestino». Per capire che cosa si intende per questo processo di differenziazione, pensiamo a una classe di scuola primaria: tra quei bambini ce ne sono alcuni che diventeranno muratori, altri elettricisti, altri ancora commercialisti o avvocati. Le cellule staminali embrionali pluripotenti sono così: saranno i segnali interni e l’ambiente in cui sono poste a indirizzarle verso l’una o l’altra strada. Se già però si guarda a una scuola secondaria, l’orientamento si fa più chiaro: si parla di cellule multipotenti, che hanno ancora possibilità di scelta ma in un ambito più ristretto, come quelle da cui originano sia i vasi sanguigni, sia i precursori delle tante cellule diverse del sangue. Ed eccoci infine alle staminali adulte (o somatiche) che oramai hanno fatto la loro scelta: come in un’aula della facoltà di Medicina ci sono solo futuri medici, anche queste andranno a formare un solo tessuto. Ma come da quell’aula usciranno oculisti, chirurghi e psichiatri, così le staminali del sangue, per citare le più comuni nella pratica clinica, fanno da serbatoio per rimpiazzare cellule differenti, soggette a un ricambio periodico: globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. Per questo sono preziose per ricostituire tutte le componenti ematiche nella cura di leucemie o altre malattie, tumorali e non. «Nel midollo osseo, però, accanto a queste staminali ematopoietiche ve ne sono altre, dette mesenchimali, quelle di cui tanto si parla in questi giorni» prosegue Bianco. Queste cellule sono in grado di differenziarsi solo nei tipi di cellule che servono allo scheletro: cellule dell’osso, della cartilagine e cellule adipose. Si dice che producano sostanze in grado di modulare l’infiammazione e le risposte immunitarie. «Ma, appartenendo a questa categoria, non è possibile che iniettate in un paziente si trasformino in cellule nervose, per riparare malattie neurodegenerative» precisa Bianco. Questo cambio di direzione, mai dimostrato in natura, è stato però in alcuni casi prodotto artificialmente. Inoltre alcune cellule della pelle, sebbene “mature”, sono state per così dire “convinte” dagli scienziati a tornare indietro nel tempo, alla condizione di staminali, recuperando la capacità di fare qualunque scelta per il loro futuro. Sono le cellule staminali pluripotenti indotte (in sigla iPS), per le quali il britannico John Gurdon e il giapponese Shinya Yamanaka hanno vinto il Premio Nobel nel 2012. Una scoperta che consentirà di eludere i problemi etici ottenendo cellule con le stesse potenzialità di quelle embrionali. Con in più il vantaggio che, essendo prelevate dallo stesso paziente che dovrà essere curato, si evita il rischio di rigetto. C’è però un’ombra su questi approcci: il timore che l’alta capacità proliferativa di queste cellule sfugga al controllo e possa produrre tumori, tanto che molti ricercatori si sono convinti che siano proprio cellule staminali ad alimentare il cancro. Ma questa è tutta un’altra storia, in cui queste cellule della speranza, da possibili strumenti di cura, diventano potenziali bersagli delle terapie.