Quante parti del corpo possono essere sostituite con ricambi bionici

Corriere della Sera
Elena Meli

lI primo è stato l’«uomo da sei milioni di dollari» del telefilm degli anni 70: un astronauta sopravvissuto a un terribile incidente che aveva acquisito forza, velocità e vista fuori dal comune grazie a protesi bioniche. Ma quella era fantascienza oggi la possibilità di sostituire vezzi» del corpo è una realtà, così come la capacità degli scienziati di ricreare robotica-mente quasi tutte le funzioni del nostro organismo. Lo dimostra Roboy, umanoide costruito dall’Università di Zurigo e mostrato al pubblico per la prima volta il g marzo, il primo robot in cui tutti i movimenti sono coordinati da un sistema di tendini, ossa e muscoli artificiali che regalano una destrezza e una flessibilità quasi umane. E lo dimostra ancora di più Rex, l’uomo bionico esposto da poche settimane a Londra, al Museo della Scienza, in una sezione dall’eloquente titolo «Quanto del tuo corpo può essere sostituito?». La risposta è che quasi tutto, oggi, si può rimpiazzare: a Rex manca uno stomaco, ma le tante équipe di ricercatori di tutto il mondo che hanno lavorato al progetto hanno di fatto ricreato il 60-70% di un essere umano. Ci sono organi artificiali (reni, pancreas, una milza su chip), arterie sintetiche dove scorre un sangue speciale che riesce perfino a scambiare l’ossigeno nel polmone (artificiale anch’esso), una retina e una cornea robotiche. Alcuni organi, come il cuore o la trachea, sono gli stessi già impiantati in veri pazienti e lo stesso vale per le protesi di arti e articolazioni che sono state assemblate in Rex, dalla mano all’anca. Nessuno dei ricercatori al lavoro su questo «uomo da un milione di dollari» (tanto è costato codesto Frankenstein del l’era robotica) ha provato anche solo a ipotizzare di creare un cervello sintetico e lo stomaco artificiale è tuttora troppo grande per essere utilizzabile in un paziente reale, ma colpisce la quantità di «pezzi di ricambio» meccanici o robotici che esistono già. Senza contare le «semplici» protesi delle articolazioni d’anca o di ginocchio, ormai diventate comuni (le ultime stime della Società italiana di ortopedia e traumatologia parlano di oltre un milione di italiani che le portano), da tempo sono in uso strumenti sostitutivi di funzioni anche molto complesse. «E il caso degli impianti co-clean per non udenti — interviene l’ingegnere biomedico Giulio Sandini, direttore del Dipartimento di robotica, scienze cognitive e del cervello dell’Istituto italiano di tecnologia di Genova —. L’aspetto più interessante è la relativa rozzezza del segnale sonoro veicolato dalla protesi meccanica, assai grossolano rispetto a quello che proviene dalle cellule sensoriali dell’orecchio: grazie alla sua plasticità, il cervello può quindi imparare a udire interpretando anche input poco raffinati. Lo stesso principio si sfrutta per le retine artificiali, per le quali sono già stati condotti sperimentazioni e test clinici su non vedenti: esistono già chip da impiantare sopra o sotto la retina». Risale a metà febbraio l’approvazione da parte della Food and Drug Administration statunitense del primo «occhio bio-nico» per pazienti con retinite pigmentosa, dopo un’analogo via libera in Europa una retina artificiale che attraverso una micro-antenna comunica con una videocamera esterna collegata a un minicomputer che processa le immagini. I pazienti non recupereranno una vista da falco e neppure potranno leggere il giornale, ma si spera possano vedere quel tanto che basta a muoversi autonomamente nell’ambiente. Ben più efficienti sono invece le protesi per sostituire gli arti, come spiega Gennaro Verni, direttore tecnico del Centro protesi Inail di Vigorso di Budrio (Bo): «Consentono una gamma di movimenti simile a quella degli arti naturali e oggi sono governate da segnali raccolti dai muscoli, ma sono già allo studio protesi neuroelettriche che possano essere comandate direttamente dai nervi, magari in modo che vengano attivate più articolazioni allo stesso tempo e non solo una in sequenza all’altra, come ora. In un futuro ancora più lontano potrà essere direttamente il cervello a farle muovere». Con il pensiero, letteralmente. E senza la grande concentrazione oggi necessaria, ad esempio, ai disabili che «pilotano» sedie a rotelle robotizzate indossando caschi che registrano l’attività cerebrale tramite elettrodi esterni, inviando i comandi all’apparecchio. Ma controllare una protesi con la mente è più facile a dirsi che a farsi: «Dobbiamo capire come far sì che un elettrodo, impiantato nel cervello per inviare segnali alla protesi, possa funzionare a lungo senza essere incapsulato dalla reazione dei tessuti a un oggetto estraneo; inoltre, oggi possiamo inserire un centinaio di elettrodi, ma i neuroni sono miliardi: trovare il punto giusto dove mettere gli elettrodi, nelle aree che Comandano i muscoli o addirittura dove il cervello pensa all’intenzione di fare un movimento, non è affatto semplice — osserva Sandini —. Manca poi la possibilità di ricevere feedback dalla protesi, segnali pseudo-sensoriali che il cervello sia in grado di decodificare, ad esempio per avere di nuovo un senso del tatto: le ricerche sono agli inizi». Una mano artificiale con sensori per il tatto è stata progettata all’Istituto di robotica della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa e impiantata provvisoriamente nel zoog a un ragazzo svedese; proprio nel nostro Paese una versione più completa dovrebbe essere testata per un mese su un paziente entro la fine dell’anno. Ma si tratta di progetti in embrione, anche se Rich Walker, il direttore del consorzio che ha costruito l’uomo bionico Rex, ha affermato che il concetto di umano è destinato a evolversi: «Nel giro di 50 anni ciò che consideriamo “normale” diventerà molto più robotico. Oggi è consuetudine avere sempre con noi un telefonino che invia email o va sul web, in futuro magari avremo un rene o un cuore artificiale di riserva». Un traguardo ancora lontano: l’unico organo sostituibile con una macchina è il cuore. In Italia, stando ai dati diffusi dal Centro nazionale trapianti, i pazienti con un cuore artificiale sono oltre 200. «Sono sempre di più i casi in cui l’impianto è definitivo e non una scelta temporanea in attesa di un trapianto d’organo: il cuore artificiale avrà un impatto sempre maggiore sulla cura dei pazienti con insufficienza cardiaca, benché sia più costoso di un trapianto tradizionale — osserva Alessandro Nanni Costa, direttore del Cnt —. In questo caso lo strumento sostituisce la funzione specifica e principale di un organo, il cuore, agendo come una pompa; anche gli apparecchi perla dialisi o la respirazione artificiale possono surrogare una delle attività di reni e polmoni, ma siamo ancora ben lontani da poter rimpiazzare con una macchina impianta-bile questi o altri organi complessi, che svolgono numerose funzioni biologiche». Nulla insomma è più versatile e affidabile di un organo vero, per ora, nonostante gli enormi progressi verso l’uomo bionico. E secondo molti anche in futuro resterà probabilmente più conveniente riparare i pezzi difettosi, magari con cellule staminali tuttofare, piuttosto che cambiarli con un organo artificiale.