Ratto ibernato e resuscitato

Panorama
Carmelo Caruso

Scienziati italiani hanno abbassato per sei ore di 20° la temperatura corporea di un mammifero. Con possibili applicazioni anche per la salute umana.  Hanno ibernato un ratto per sei ore e chissà che in futuro non sia possibile farlo con l’uomo. Ad aprire le strade dell’imponderabile sono stati otto fisiologi dell’Università di Bologna guidati da Giovanni Zamboni. La ricerca era partita già nel 2006da alcuni studi di Matteo Cerri, ricercatore cui si deve l’esperimento. Finora si tratta dell’unico tentativo di ibernazione fatto su un mammifero di buona taglia. I risultati sono sul Journal of Neuroscienze. I fisiologi bolognesi hanno raffreddato le funzioni vitali dell’organismo abbassando la temperatura fino 20° in quella che viene definita «un’animazione sospesa». «Pensate a un pc in stand-by: l’ibernazione è un po’ questo. Una sorta di spending review dell’organismo» sintetizza Cerri a Panorama. In questo stato di ipotermia le funzioni vitali sono rallentate al minimo. L’area su cui agire per indurre l’animazione sospesa è stata individuata nella parte più ancestrale del cervello (chiamata raphe pallidus), situata sotto gli emisferi a metà fra il tronco e l’ultima vertebra celebrale. Con una micro-cannula i ricercatori hanno iniettato in quest’area del ratto una molecola, chiamata Gaba, che blocca l’attività nervosa. «Non appena iniettata, l’animale avverte come una vampata di calore, inizia a stendersi, si raggomitola ed entra in ibernazione» riferisce Cerri.  Il problema poteva essere il risveglio. O almeno così temevano a Bologna. Invece l’esperimento ha funzionato.  «Abbiamo abbassato la temperatura ambientale e  poi l’abbiamo aumentata Appena riattivato il corpo agisce senza nessun problema, anzi somiglia a un motore che gira al massimo». Ed è proprio in questa fase che si celano le possibili implicazioni per l’uomo. «Nel risveglio c’è un’attività fortissima dei neuroni: si creano nuove sinapsi (le vie di comunicazione tra le cellule nervose) perché si passa da uno stato di deconnessione a uno di iperconnettività. Tutto ciò potrebbe essere sfruttato nelle malattie neurodegenerative, per esempio, ma anche per allungare la durata degli organi espiantati o impedire che i muscoli rimasti per lungo tempo fermi si deteriorino. E ibernarsi per vivere più a lungo, risvegliandosi magari in un’altra epoca? Scenari da fantascienza sepolti, almeno per ora, sotto una pelliccia.