Sotto la prestigiosa intitolazione a Rita Levi Montalcini, un programma del ministero dell’Università destina al rientro in Italia di giovani talenti «stabilmente impegnati» all’estero nella ricerca o nella didattica 5 milioni ogni anno. O, meglio, dovrebbe destinare 5 milioni ogni anno, perché i fondi del 2011 sono scomparsi nel nulla. Il “buco” è reso evidente proprio dal decreto per il 2012, pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» del 1 febbraio. Quel provvedimento assegna i 5 milioni per il 2012, mentre il penultimo (lo si può leggere sulla «Gazzetta Ufficiale» dell’11 novembre 2011) era riferito all’«esercizio finanziario 2010». E il 2011? L’unica traccia al riguardo va cercata in un altro tassello di questo mosaico infinito di atti ministeriali: si tratta del decreto del 3 novembre del 2011 con cui il ministero dell’Università distribuiva agli atenei statali il fmanziamento ordinario per quell’anno, e per l’appunto vincolava i 5 milioni per il «rientro dei cervelli». I soldi, insomma, c’erano, ma a non essere mai entrato in nessun numero della «Gazzetta Ufficiale» è proprio il provvedimento più importante: quello che avrebbe dovuto assegnare i fondi, infatti, non è mai stato scritto. Il giallo, insomma, è presto risolto: nel 2011 il fondo ordinario alle università è stato preparato in grande ritardo e, complici le tempeste politiche di quel tardo autunno, ci si è dimenticati dei giovani ricercatori da riportare nel nostro Paese. Quando la burocrazia ministeriale incespica in questo modo, scatta un meccanismo automatico che riporta i fondi non assegnati all’Erario, che li utilizza per le esigenze generali. Morale della favola: invece di far rientrare cervelli, quei cinque milioni possono essere stati utilizzati per qualche stipendio pubblico o per le forniture degli uffici. Non è questo, del resto, l’unico problema del Programma che di Rita Levi Montalcini porta il nome, ma che nella sostanza risente più della farraginosità del nostro sistema pubblico che della vivacità intellettuale del premio Nobel da poco scomparso. A beneficiare dei contratti, come accennato, sono giovani di talento, al punto da essere impegnati in «attività stabili» di ricerca o didattica nelle migliori università straniere. Quando rientrano in Italia grazie ai finanziamenti del programma, però, tornano subito ad “apprezzare” le caratteristiche del nostro sistema accademico, e la «stabilità» delle loro attività viene meno. Per i beneficiari del programma vengono infatti firmati contratti di tre anni, al termine dei quali gli studiosi vengono lasciati a loro stessi: «Grazie e arrivederci». In questo modo, come hanno scritto a fine 2012 i 29 ricercatori del primo Programma Montalcini, avviato nel 2009, «l’investimento della collettività rischia di trasformarsi in un prestito a vuoto», in una lettera aperta che facendo il verso all’Agatha Christie dei 10 piccoli indiani hanno intitolato «E poi non rimane nessuno».In realtà, per garantire continuità al Programma basterebbe un piccolo stanziamento nel Fondo ordinario, che consentisse agli atenei di trattenere i migliori. Ma i soldi, in questa fase, sono pochi, e come dimostra la vicenda del programma 2011 anche quei pochi si perdono fra la distrazione e l’inerzia.
L’Associazione Luca Coscioni è una associazione no profit di promozione sociale. Tra le sue priorità vi sono l’affermazione delle libertà civili e i diritti umani, in particolare quello alla scienza, l’assistenza personale autogestita, l’abbattimento della barriere architettoniche, le scelte di fine vita, la legalizzazione dell’eutanasia, l’accesso ai cannabinoidi medici e il monitoraggio mondiale di leggi e politiche in materia di scienza e auto-determinazione.