I paradisi della ricerca esistono anche negli atenei italiani dove un drappello di università – a cominciare dai Politecnici di Milano, Torino e Bari fino a Firenze e Trento – contano da 50 a 70 giovani cervelli ogni 100 tra docenti e ricercatori strutturati. Contro una media italiana di meno di 30 ogni 100. Peccato che queste oasi della scienza – nella maggior parte dei casi – rischiano di vendere illusioni a tanti aspiranti scienziati che entrano negli atenei da precari e nella stragrande maggioranza dei casi ne vengono espulsi per sempre: solo il 7% degli assegnisti di ricerca – il primo scalino “professionale” dopo il dottorato e la figura più gettonata negli atenei da quando c’è il blocco del turn over-resterà a lavorare nei laboratori degli atenei. Il restante 93% dovrà cercare un lavoro altrove dopo essere stato formato e super specializzato in materie molto spesso di alto profilo scientifico e tecnologico: in particolare il 7% di loro uscirà dal percorso accademico al termine dell’assegno (che può durare al massimo fmo a 4 anni), mentre il 15% uscirà dopo aver ricoperto una posizione da ricercatore a tempo determinato. Si tratta di migliaia di ricercatori ogni anno che sono costretti – quando non vincono il concorso da docente o non trovano un posto nelle aziende – di dover cambiare lavoro o peggio di dover fuggire all’estero. Insomma un patrimonio prezioso che va sprecato e mandato in fumo senza che nessuno batta ciglio. Viene quasi la tentazione di pensare che sia più virtuoso seguire l’esempio di Macerata che di ricercatori precari ne conta uno ogni 100 “strutturati”. A lanciare l’allarme sui tanti cervelli “gettati alle ortiche” è l’Adi, l’associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani che oggi presenta a Roma un’indagine approfondita sul «Dottorato di ricerca e sul Post-Dottorato in Italia». Indagine dalla quale emerge tra l’altro anche un taglio deciso al numero dei dottorati – il primo passo nella ricerca dopo la laurea – che dal 2008 al 2011 sono diminuiti del 12%, da 15.437 a 13.633. Con l’aggravante che quelli muniti di borsa sono crollati del 16 per cento. «Non è accettabile sentir dire che chi sceglie questa strada fa un investimento o peggio una scommessa – spiega Francesco Vitucci, segretario nazionale dell’Adi -, in realtà l’investimento viene fatto da tutto il sistema universitario e in senso più ampio da tutto il Paese, ed è preoccupante che nessuno pensi seriamente del futuro di queste persone». In effetti su questo fronte qualcosa si è mosso negli ultimi mesi: il decreto sviluppo ha introdotto un credito d’imposta per le aziende che assumono personale altamente qualificato. Agevolazione che vale anche per le start up. In più è ormai a un passo dall’entrata in vigore – si aspetta a breve la pubblicazione in «Gazzetta» – il decreto che modifica le regole per il dottorato: il nuovo regolamento a cui ha lavorato il ministro Francesco Profumo introduce tra le altre cose la possibilità di svolgere la formazione anche all’interno della aziende. Un modo questo per stringere subito rapporti con il mondo del lavoro che può trasformarsi in un’assunzione alla fine del dottorato. «Sono iniziative positive che vanno ulteriormente incentivate – aggiunge Vitucci -, ma il problema più urgente è quello di sbloccare il turn over nelle università dopo anni di blocco il cui effetto è questa precarietà inaccettabile che si conclude nell’espulsione dall’università». Il reclutamento è stato congelato per tutto il primo anno successivo alla riforma Gelmini (il 2011) e anche il 2012 ha visto ingressi molto al di sotto delle previsioni: «Sono stati banditi solamente 800 posti di ricercatore a tempo determinato, troppo poco», spiega il segretario dell’Adi. A colpire tra i numeri diffusi dall’indagine dell’associazione dottorandi e dottori di ricerca è anche il fatto che il numero dei contratti nelle aree scientifico-tecnologiche è anche 3-4 fino a 6 volte superiore rispetto ai settori “umanistici” (aree sociali, filologiche letterarie e giuridiche). Ma il paradosso è che proprio in questi piccoli “giardini” scientifici è difficile che il ricercatore possa far attecchire la sua ricerca. Un ingegnere informatico ha solo il 3% delle possibilità di restare contro il 12% di chi studia scienze dell’antichità e il 16% di chi fa ricerca sulle scienze giuridiche.
L’Associazione Luca Coscioni è una associazione no profit di promozione sociale. Tra le sue priorità vi sono l’affermazione delle libertà civili e i diritti umani, in particolare quello alla scienza, l’assistenza personale autogestita, l’abbattimento della barriere architettoniche, le scelte di fine vita, la legalizzazione dell’eutanasia, l’accesso ai cannabinoidi medici e il monitoraggio mondiale di leggi e politiche in materia di scienza e auto-determinazione.