Le multinazionali americane: sostegni al settore o lasciamo

Sole 24 Ore
Manuela Perrone

«Basta bancomat, siamo una risorsa per la crescita». Le industrie farmaceutiche americane in Italia avvisano: l’export da solo non può continuare a sostenere le sorti del settore. Servono misure per ridare ossigeno al mercato interno, altrimenti i rischi di disinvestimento sono altissimi. L’allarme è stato lanciato ieri alla conferenza “Il ruolo e il futuro dell’industria farmaceutica americana in Italia”, promossa dal gruppo delle 20 aziende italiane del farmaco a capitale Usa (Iapg) e ospitata a Roma dall’ambasciatore David Thorne. Forti di un fatturato superiore a 5 miliardi di euro, oltre 13mila dipendenti, 460 milioni di investimenti in R&S e 1,3 miliardi di export, le venti industrie – per bocca di Pierluigi Antonelli, chairman Iapg-hanno denunciato «le tante criticità che intaccano l’attrattività del sistema Italia». Dai ritardi nell’accesso all’innovazione (360 giorni per il via libera dell’Agenzia del farmaco ai nuovi medicinali autorizzati nell’Ue) ai prezzi dei farmaci, più bassi del 15-20% rispetto ai principali Paesi europei; dai tempi di pagamento delle strutture pubbliche, che superano gli otto mesi, alle regole, che per le aziende «non consentono neanche di rendere sostenibile la spesa per l’innovazione reinvestendo le risorse liberate dalle scadenze brevettuali». «Su otto euro risparmiati sui vecchi farmaci – ha spiegato Antonelli – soltanto uno viene reinvestito per quelli nuovi». Insieme alla scadenza di molti brevetti e alla concorrenza dei mercati emergenti, sul comparto pesa la crisi e il calo della spesa farmaceutica totale (-1,5% nel 2011, -0,5% nel 2012). Come ha evidenziato Aurelio Regina, vicepresidente di Confindustria, persino la Spagna ha fatto meglio. Per gli investitori Usa in Italia la farmaceutica resta il secondo settore per fatturato (20%) e per occupazione 44%) ma lo spettro del disinvestimento aleggia. «Le nostre aziende – ha detto l’ambasciatore Thorne – sono pronte a contribuire allo sviluppo di un piano d’azione strategico». Ma chiedono più stabilità nelle regole, promozione e tutela dell’innovazione, adeguamento agli standard Ue per i tempi di pagamento e riduzione della frammentazione regionale. Per il ministro della Salute, Renato Balduzzi, bisogna favorire l’innovazione verificando però «il rapporto costo-beneficio dei farmaci costosi» ed escludendo dal prontuario «quelli privi di valore aggiunto». «Il lavoro di revisione del prontuario è cominciato», ha reso noto Luca Pani, direttore generale Aifa, per il quale «il momento oscuro è finito»: lo dimostra il via libera della Fda a 37 nuovi farmaci nel 2012, che arriveranno anche in Europa. «Troppo spesso la farmaceutica è stata ritenuta il settore più facile da spremere», ha però ammesso il sottosegretario allo Sviluppo economico Claudio De Vincenti, che ha auspicato «parità di condizioni di gioco per i farmaci di marca e per i generici» e segnalato due direzioni: «Tenere costante la quota di spesa farmaceutica rispetto al Pil e mantenere nel settore le risorse provenienti dalla scadenza dei brevetti».