La battaglia per l’eutanasia in Inghilterra

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Giornalettismo.it
Valentina Spotti

Tony Nicklinson ha vinto la sua battaglia. Peccato che lui non potrà mai godere i frutti della sua lotta per il diritto di morire. A portare avanti quello che lui aveva iniziato sarà sua moglie Jane, che potrà portare il caso davanti alla Corte d’Appello inglese.

SINDROME DEL CHIAVISTELLO – L’estate scorsa, la storia di Tony Nicklinson aveva fatto discutere il mondo: l’uomo, un 58enne di Melksham, nell’Inghilterra meridionale, viveva dal 2005 prigioniero del suo corpo dopo essere stato colpito da un ictus mentre si stava recando ad Atene per un viaggio di lavoro. Quando si risvegliò, Nicklinson era perfettamente lucido e cosciente, ma incapace di muovere qualsiasi muscolo del suo corpo, ad eccezione degli occhi. La sua condizione è nota come “sindrome del chiavistello”, che ben descrive la situazione che il malato è costretto a subire. Nicklinson, che comunicava attraverso un computer ed era totalmente dipendente dalle macchine, descriveva la sua vita come “un incubo” e nel 2010 iniziò la sua battaglia legale per ottenere l’eutanasia.

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LA SENTENZA – Il 16 agosto scorso la  Corte Suprema britannica respinse la sua richiesta, adducendo come motivazione il fatto che l’uomo, totalmente incapace di muoversi, non avrebbe potuto essere parte attiva in un eventuale suicidio assistito e la legge britannica non poteva permettere eccezioni. In sostanza, non si sarebbe trattato di suicidio, ma di un omicidio perpetrato da qualcun altro, seppure fosse noto a tutti quanto Nicklinson volesse porre fine a un’esistenza che non gli lasciava più nessuna via di fuga. Dopo aver appreso la sentenza l’uomo rifiutò l’alimentazione, si ammalò di polmonite e morì pochi giorni più tardi, il 22 agosto.

SU TWITTER – La scorsa estate Nicklinson aveva anche cominciato a usare Twitter, utilizzando un sofisticato software per il riconoscimento dei movimenti oculari. Sul social network, l’uomo aveva raccontato la sua storia, dialogando con i molti follower che volevano parlare con lui. Alcuni cercarono di convincerlo ad abbandonare il suo proposito ma, Nicklinson, con molta serenità, affermava spesso di non poter più sopportare la sua esistenza. Gli ultimi tweet sono stati quelli relativi alla sua morte, comunicata dalla famiglia dell’uomo.

APPELLO – La moglie Jane e la figlia Beth si sono sempre battute per la causa del padre, sostenendo che avesse “il diritto di morire” in modo dignitoso. Oggi, il Guardian racconta che la Corte d’Appello del Regno Unito ha permesso alla vedova Nicklinson di fare ricorso, continuando così la battaglia legale che fu del marito. Questo ricorso viene considerato come una sorta di precedente per tutti quei casi di persone, affette da gravi malattie, che chiedono di morire. “Combattiamo con lui – ha commentato Jane Nicklinson – lo daremo a suo nome”. Ora i giudici della Corte d’Appello sono chiamati a pronunciarsi nuovamente sul caso e a confermare o meno la sentenza della Corte Suprema.