Bebè in provetta, legge 40 rinviata alla Consulta

Giorno/Resto/Nazione

LA LEGGE 40 sulla procreazione medicalmente assistita è di nuovo rinviata alla Corte Costituzionale, per la quinta volta. L`ultimo caso riguarda la decisione del tribunale di Firenze che – partendo dal ricorso presentato da una coppia portatrice di una malattia genetica, che ha rifiutato l`impianto di embrioni malati o non testabili chiedendo che vengano appunto impiegati per la ricerca – ha sollevato dubbi di costituzionalità rispetto al divieto previsto dalla legge di destinare alla ricerca scientifica gli embrioni `abbandonati` e inutilizzabili. Ma il rinvio alla Corte riguarda anche un secondo punto: la prevista irrevocabilità del consenso della donna ai trattamenti di procreazione assistita dopo la fecondazione dell`ovocita. Secondo i giudici, dunque, la legge 40 viola gli articoli della Costituzione relativi ai diritti fondamentali della persona, al diritto alla salute e alla libertà di ricerca, e si configura come una legge «irrazionale, illogica e irragionevole». È infatti «irrazionale – spiega l`avvocato Gianni Baldini, che ha seguito la coppia – prevedere l`irrevocabilità del consenso circa l`avvio e la prosecuzione del trattamento di procreazione assistita». 
ALL`ORDINANZA del tribunale di Firenze plaudono Livia Turco (Pd), Radicali e associazione Coscioni. Per Filomena Gallo, segretario dell`associazione Coscioni, «quello che non fa il Parlamento, ovvero cancellare la legge 40, lo stanno facendo i tribunali». Una legge da rifare in Parlamento, secondo il Pd: «E una legge scritta negando la scienza», commenta il senatore Ignazio Marino. Mentre per Antonio Palagiano, presidente della commissione d`inchiesta sugli errori sanitari, si evidenzia «un problema che il legislatore deve affrontare, perché l`Italia si appresta a diventare la più grande banca del mondo di embrioni abbandonati». Di parere opposto l`ex sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella (Pdl): «Per l`ennesima volta un tribunale civile attacca la legge 40 su punti già confermati da un referendum, cercando quindi di scavalcare non solo il Parlamento ma il voto popolare».