Fecondazione assistita, Italia divisa in due. E c’è chi approfitta del dolore delle coppie

fecass.jpg
Repubblica Inchieste
Monica Soldano

Quando c’è la crisi, si sa, la famiglia la paga e i figli non si fanno più o si fanno dopo. In Italia, le mamme primipare attempate sono molte. Troppe, anche quelle che chiedono tardi l’aiuto delle tecniche di fecondazione assistita. Hanno 36,3 anni, tre in più della media europea. Anche per questo i successi sperati non arrivano, i tentativi, come i soldi, non bastano mai e si cerca aiuto dove capita. Nel 2009, la sentenza della Corte Costituzionale ha detto il primo no importante alla legge: ha cancellato l’obbligo a un unico e contemporaneo impianto di tutti gli embrioni fecondati Così ha restituito al medico e alla donna la libertà di scelta e i risultati sono migliorati. Oggi, la fecondazione in vitro in Italia  è in media più efficace e consegna un figlio in braccio nel 28% dei casi, mentre l’inseminazione semplice nel 10%. Anche il numero dei nati è cresciuto del 10% in un anno, e il trend resta positivo, con un significativo incremento del numero dei cicli, tra il 15 ed il 20%. Nel 2010, oltre dodicimila bambini sono venuti al mondo con l’aiuto delle tecniche e tra questi, alcuni, correndo meno rischi, perché, i medici italiani hanno imparato dall’Europa che non si trasferiscono più di due embrioni insieme, meglio se uno. Diminuiti così i parti trigemellari dal 3,4% del 2008 al 2,3 % nel 2010. Meno nati prematuri significa meno complicanze per le madri e costi ridotti per tutti. Eppure, la illegalità e le perversioni del sistema esistono ed il caos dei “fuorilegge” si consolida, perché l’architettura dei controlli è labile e la domanda inevasa, a causa dei divieti ancora vigenti o dei costi troppo alti. L’Italia resta così un mercato ghiotto per tutti i paesi stranieri. E il divieto della fecondazione con donazione non aiuta, ma aguzza l’ingegno.

E(s)terologa all’italiana. Alle 63.000 coppie che ogni anno varcano la soglia dei 357 centri italiani autorizzati, si aggiungono le oltre 4000,  che nel 2011 sono ‘esodate’ in Europa, verso sud, come verso est, con prezzi lievitati perché il personale che attiva l’intermediazione, si paga, dai 500 ai 2000 euro. In Puglia, al centro San Luca di Bari la fecondazione eterologa, era proposta, fino al giugno scorso, in un depliant pubblicitario che, lasciato nella sala d’aspetto, indicava tra i servizi offerti anche l’ovodonazione, l’inseminazione eterologa e l’embriodonazione, pratiche vietate e sanzionate dalla legge 40.

IL DEPLIANT DELL’OSPEDALE

L’Italia della provetta è divisa dal Po. Come detto le tecniche non sono più nei livelli essenziali di assistenza, dunque non sono a carico del servizio sanitario nazionale e le tariffe le decidono le regioni. Il costo reale di una fecondazione in vitro, in una struttura ospedaliera, è tra i 2.300/2.500 euro, anche meno, quando il numero dei cicli di quel centro supera i 300 l’anno. Un tavolo nazionale di tecnici del settore ha proposto che costi e prezzi siano finalmente omogenei da nord a sud, ma la mannaia del tempo cade sulle donne che nei centri pubblici non dovrebbero più superare il limite dei 42 anni di età. Così, il Piemonte, la Toscana, il Friuli Venezia Giulia, hanno deliberato un superticket e le prestazioni per la provetta si pagano, allo stesso modo su tutto il territorio regionale, dai 200 euro per la inseminazione semplice agli 800 euro per una fecondazione in vitro o una Icsi. Alla lista si potrebbe presto aggiungere la Puglia, che attende da sette anni la notizia di un centro pubblico di infertilità, di secondo e terzo livello, a Conversano, 40 km a sud est dal capoluogo barese per frenare l’esodo delle coppie pugliesi. Mentre, a livello nazionale, il tavolo tecnico vuole fare presto e fare ordine nel turismo della provetta. Il 24,3% delle coppie viaggia fuori regione, e di queste più della metà è alla ricerca di un centro pubblico o convenzionato. La Toscana nel 2011 ha accolto il 40% di non residenti, la Lombardia il 21%, l’Emilia Romagna il 38 e nel nord est, il Friuli Venezia Giulia attrae il 54% dei pazienti da fuori regione. Non solo, ma il turismo procreativo ad oggi è stato pagato caro da alcune regioni a favore di altre. Tra le maglie nere per la migrazione verso il centro-nord quella della Puglia, che fin dal 2007 aveva visto denunciare la presenza di poche coppie negli oltre dieci centri privati e due pubblici della regione, rispetto all’eccesso di prescrizioni di farmaci per l’infertilità a carico del servizio pubblico. Infatti, la commissione di farmacovigilanza aveva dato l’allarme: la media nazionale era superata del 40% solo con le gonadotropine, prodotte proprio in casa, a Bari, da uno dei più importanti stabilimenti europei della Merck Serono, la farmaceutica leader mondiale del settore. 

La Lombardia, invece, fino a oggi si è fatta bella e, secondo alcuni, anche ricca, con i suoi 52 centri che concentrano il 24% dell’attività a livello nazionale. Numeri alti, secondo alcuni, anche grazie ad un’escamotage: le pazienti sono dimesse, dopo il cosiddetto pick up degli ovociti e  rientrano con una seconda accettazione per il transfer, così i costi raddoppiano per le regioni di provenienza delle coppie. E, sempre in Lombardia, la tariffa doppia viene rimborsata ai centri privati accreditati e convenzionati, come la clinica Zucchi di Monza, il San Raffaele di Milano e il centro Humanitas di Rozzano, di proprietà della Compagnia delle opere. Galline dalle uova d’oro, affollate da campani, pugliesi, calabresi e siciliani, che emigrano da un’offerta locale di servizi per l’80% privata, frammentaria, in alcuni casi, più costosa dei centri pubblici o convenzionati del nord.