L’Aids continua a fare paura: 60 nuovi casi di infezione. Contagio silenzioso L’Aids a Modena continua a far paura

Gazzetta di Modena
Evaristo Sparvieri

Francesco Pellegrino di Asa 97: «Dietro ogni malato diagnosticato si nasconde un numero molto maggiore di casi sconosciuti»

Una malattia spesso ignorata, su cui si sono lentamente spenti i riflettori, e che proprio nel silenzio trova un alleato per la diffusione del contagio. Sono stati 61 nel 2011 i nuovi casi di infezione da Hiv notificati nella nostra provincia: 2.146 le persone affette dall’inizio dell’epidemia qui a Modena, nel 1985, quando Francesco Pellegrino, medico del reparto di malattie infettive del Policlinico, fu tra i primi specialisti a visitare un malato di Aids.

Un’esperienza dalla quale Pellegrino ha dato vita ad “Asa Novantasette“, associazione no Profit che dal 1987 si dedica ad un’intensa attività di prevenzione e sensibilizzazione, trovando in Casa San Lazzaro una sede per mettere in campo progetti di assistenza per malati di Hiv, in cui accogliere coloro che, oltre al dramma della malattia, devono combattere anche i pregiudizi sociali che l’Aids comporta. «Sono trascorsi oltre 25 anni — spiega Pellegrino — in tutto questo tempo l’epidemia ha subito diversi cambiamenti, con una forte diminuzione dei casi alla fine degli anni ’90 a cui ha fatto seguito un andamento sostanzialmente stabile».

Secondo i dati diffusi, a differenza degli anni ’80, oggi è la trasmissione per via sessuale a rappresentare la principale causa di contagio: circa il 70% dei nuovi casi di Hiv registrati nell’ultimo triennio è legato a rapporti non protetti. Molti, la maggior parte, i contagi dovuti a partner occasionali, che non erano a conoscenza della propria sieropositività. Un ruolo secondario, invece, è legato allo scambio di siringhe tra tossicodipendenti, che negli anni ’80 era il principale fattore di diffusione del virus. Un 40% dei nuovi casi, infine, è rappresentato da persone immigrate da Paesi extracomunitari.

Le età medie sono passate dai circa 23 anni del 1985 ai circa 40 del 2011, come se un’intera generazione fosse ancora imprigionata nell’incubo di una malattia su cui non è stato ancora trovato un rimedio definitivo. «La realtà è sicuramente peggiore di ciò che riportano i dati: dietro ogni caso di sieropositività conosciuto si nasconde un numero molto maggiore di casi sconosciuti — aggiunge Pellegrino—Per questo la prevenzione e l’informazione diventano fondamentali: il preservativo è la prima forma di prevenzione, ma bisogna usarlo in maniera corretta e conoscere i rischi a cui si va incontro senza un suo utilizzo».

Prevenzione. Ma anche ricerca. Ancora oggi sono queste le due parole d’ordine per sconfiggere l’Aids. «La cura, intesa come guarigione, non c’era 27 anni fa e non c’è adesso. Probabilmente non ci sarà neanche nei prossimi anni. Se però si guarda alla terapia sulla sieropositività, allora la prospettiva cambia e la lista dei successi si allunga significativamente.

Ma il vero rischio oggi è che il virus possa diventare resistente al farmaco. Per questo bisogna ancora fare ancora tanti passi avanti nella ricerca». Domani, in tutto il mondo, si celebrerà la giornata in favore della lotta contro l’Aids. Ma, nonostante questa iniziativa mondiale di sensibilizzazione, l’allarme contagio resta ancora troppo alto. «Il fatto che la maggior parte delle nuove infezioni vengano diagnosticate in modo tardivo è prova di come sia sottostimato il rischio d’infezione — conclude Pellegrino —A ciò consegue una diminuita possibilità di cure e, cosa non meno grave, un maggior rischio di contagio, soprattutto nell’intervallo di anni che intercorre tra la sieropositività, quasi sempre asintomatica, e il manifestarsi dei sintomi dell’Hiv».