Valentina Tomasoni

tn_valentina.jpg

A chi non è ammalato potrà sembrare contraddittorio, ma a chi mi sta vicino dico sempre: “non trattatemi come un’ammalata, ma ricordatevi che lo sono”. Difficile da capire, semplice per me da spiegare: essere ammalati non significa avere qualcosa in meno rispetto agli altri, ma avere un qualcosa di diverso, che ci rende più fragili, più sensibili. Abbiamo il nostro orgoglio e la nostra dignità, vogliamo essere aiutati ma non umiliati, compresi e non compatiti… vogliamo vivere. La malattia, almeno per quanto mi riguarda, mi fa sentire la vita in modo diverso. Come faccio a sapere come sentono la vita gli altri? So come la sentivo io prima di ammalarmi, la guardavo senza vederla. Il massimo sarebbe poter sentire la vita e guarire…il mio domani. Non mi farebbe dimenticare comunque il passato ma sicuramente lo ricorderei senza sentire più male. Il futuro, il passato…il presente, che vivo con un ospite non molto gradito, il Parkinson. Un compagno di viaggio dispettoso, maleducato e talvolta cattivo. Per nove anni (avevo 21 anni quando mi sono ammalata) mi ha perseguitato, senza farsi riconoscere. Mi sono sentita dire per anni che non avevo niente, che era solo un malessere psicologico. Ha rallentato la mia vita, in tutti i sensi. Piano piano ha tolto vitalità al mio corpo e ai miei pensieri. Il 30 gennaio 2002 ho saputo di avere il Parkinson e da allora con la cura adeguata riesco a vivere una vita “quasi” normale. “Quasi” per tutte le problematiche connesse alla malattia e “quasi” per le cicatrici che i ricordi hanno lasciato sulla mia anima: depressione, lentezza e difficoltà nei movimenti, rigidità dei muscoli delle braccia, gambe e collo. Fa male, anche adesso, ricordarlo. Molti non sanno ancora cosa è il Parkinson: è una malattia neurologica cronica degenerativa, attualmente curabile ma non guaribile. Non colpisce solo il nostro fisico ma anche le nostre emozioni. Stravolge il nostro equilibrio, ci fa arrabbiare e ci fa piangere all’improvviso. Posso vivere bene ammalata, vivrei meglio sana. Sono grata alla vita per aver avuto l’opportunità di uscire dalle tenebre della disperazione, di aver ritrovato la voglia di vivere…ma non finisce qui. Affrontare le difficoltà che la vita ci presenta, accettare il male e il dolore. Posso affrontare il Parkinson, posso accettare il male e il dolore provato per anni non sapendo con chi dovevo “combattere”. Ma non è facile: quando le mie gambe si bloccano all’improvviso e poi ripartono e rischio di cadere, quando le cose mi scivolano dalle mani, quando il mio collo si irrigidisce, quando i miei occhi si riempiono di lacrime senza un perché, quando mi alzo la mattina con il mal di schiena, quando devo subire gli effetti collaterali delle pastiglie, quando le mie gambe si muovono involontariamente, quando la rabbia mi prende all’improvviso e rischia di far allontanare da me le persone a cui voglio bene. No, non è facile, ma posso vivere e sono felice di poterlo fare. Ma se un giorno tutto questo non esistesse più? Se non dovesse succedere più, come ogni tanto succede ora, che mi svegli nel cuore della notte pensando che un giorno, quando avrò il mio bambino (e lo avrò), non potrò alzarmi quando si sveglierà la notte per poterlo prendere in braccio. Perché sarei rigida, rischierei di farlo cadere. Perché negarmi questa gioia se ci fosse un’alternativa? Non chiedo niente di più di quel che è un sacro santo diritto di ogni mamma: prendere in braccio mio figlio. Non posso amare più di quanto ami già la vita… ma potrei viverla ancora più intensamente… con un corpo sano.