Diagnosi preimpianto La legge 40 è a pezzi

L’Unità
Jolanda Bufalini

Nuovi fuochi si accendono attorno al totem ideologico della legge 40 sulla procreazione assistita, come avviene, con regolarità, quando si avvicina lo scontro elettorale. Le soluzioni di buon senso per risolvere i problemi che affliggono le coppie sterili e le donne con il loro desiderio di maternità si allontanano e si riattizza la contrapposizione ideologica che lascia irrisolte le questioni. Ieri gli episodi sono stati due: l`affossamento, in commissione Affari sociali, di un emendamento alla legge 40 presentato dall`onorevole Antonio Palagiano (Idv) su cui erano d`accordo tutti i gruppi. Si prevedeva che le donne che hanno concepito un figlio con la procreazione assistita possano disconoscere, alla nascita, il bambino. L`altro episodio è avvenuto a Cagliari dove un giudice ha deciso in favore di una coppia (la donna è talassemica) che si era vista negare dalla struttura pubblica l`indagine prenatale. 
Quello del disconoscimento è un diritto di tutte le donne: nella ratio c`è soprattutto il proposito di scoraggiare l`aborto. Un figlio indesiderato può vedere la luce in ospedale, con la garanzia per la madre dell`anonimato. Estendere la norma a chi ha fatto ricorso alla provetta risponde a un principio di uguaglianza. Ma, quando sembrava che l`emendamento potesse passare in commissione, con i tempi veloci che la discussione d`Aula preclude, pare ci sia stata una riunione informale della commissione Affari costituzionali, alla presenza del sottosegretario Cecilia Guerra. 
«Questa norma – si è sostenuto – apre la porta all`utero in affitto, in questo modo una coppia gay può, in accordo con la donna che disconosce, avere il figlio». Chi dice queste cose, reagisce il professor Carlo Flamigni, «è malvagio», «è qualcuno che pensa male delle donne, le guarda con sospetto, le considera sciocche e facilmente portate a sbagliare». 
Fa un esempio concreto: «Può darsi il caso che una donna che ha fatto ricorso alla procreazione assistita venga abbandonata dal marito e, al momento di partorire, non sia in condizione di mantenere il bambino che nascerà». È un problema di eguaglianza, «per il resto sono sufficienti le leggi che vietano in Italia l`utero in affitto. Prima siamo tutti eguali poi, il legislatore, se teme delle scappatoie, provvederà con le eccezioni». 
A guidare le file dei sospettosi Eugenia Roccella, “madrina” della legge 40: «Bisogna garantire che non vi siano forme surrettizie di commercio intorno alla procreazione assistita, e non si possa aggirare il divieto di fecondazione eterologa». 
«La norma della legge 40 – aggiunge Roccella – è un concreto ostacolo a forme più o meno mascherate di mercato del corpo, come per esempio l`utero in affitto». Con lei Paola Binetti (Udc), Carlo Casini del Movimento per la vita, Barbara Saltamartini (Pdl). 
Risponde Margherita Miotto, capogruppo Pd agli Affari sociali: «Non sono a conoscenza di contesti informali. Il Pd ha sostenuto l`emendamento Palagiano con forte convinzione. Le ipotesi su utero in affitto o affidamenti alle coppie gay sono frutto di inutili dietrologie. Quella è una norma riconosce l`uguaglianza tra la maternità naturale e quella assistita, non apre nuovi scenari, peraltro vietati dalla legge». Maria Antonietta Farina Coscioni: «Mettere in discussione la legge 40 sembra essere qualcosa di scandaloso». Invece la legge sulla procreazione assistita esce ancora una volta malconcia dalla sentenza di Cagliari. In origine la legge 40 proibiva non le indagini preimpianto ma il congelamento degli embrioni, norma caduta per effetto di una sentenza della Corte costituzionale del 2009. Livia Turco: «La legge 40 è pasticciata perché è ideologica. Dobbiamo modificarla nel cuore, cioè nel concetto di infertilità. Il testo attuale esclude quella derivante da gravi malattie, circostanza che rende una maternità rischiosa per la salute della donna e del bambino». La sentenza di Cagliari è la «numero 19 contro una legge ideologica», commenta Emma Bonino.