Ordine del giudice: test prenatale anche negli ospedali

Corriere della Sera
Margherita De Bac
ROMA – Altre donne prima di lei si erano sentite negare il diritto di sapere in anticipo, prima di avviare la gravidanza, se il bambino sarebbe nato sano. Teresa però (la chiameremo così) non si è fermata. Ha presentato ricorso al Tribunale civile di Cagliari chiedendo che l`Ospedale Microcitemico, il centro pubblico dove aveva cominciato un percorso di fecondazione artificiale, ordinasse ai medici di non negarle questa speranza. 
I giudici le hanno dato ragione. Con una sentenza resa nota ieri dall`Associazione Luca Coscioni hanno disposto di eseguire la diagnosi preimpianto sull`embrione, l`analisi genetica che consentirebbe a Teresa e al marito di accarezzare il sogno di avere un bebè in piena salute. Lei è malata di talassemia, lui ne è portatore. Hanno il 50 per cento di probabilità di trasmetterla al figlio. 

Il test sugli embrioni, creati in provetta, potrebbe farli diventare genitori felici. «Non voglio rischiare di avere una creatura destinata a gravi sofferenze. Non voglio essere messa di fronte alla decisione di abortire», racconta Teresa. La sentenza cagliaritana segna un`altra tappa importante della legge sulla procreazione medicalmente assistita, la numero 40. Nel ribadire che la diagnosi preimpianto deve essere eseguita nei centri pubblici in possesso dei requisiti tecnici (secondo o terzo livello) chiarisce che le stesse strutture devono garantire le stesse prestazioni di quelle private, ad esempio il congelamento e la fecondazione di un numero di ovociti superiori a tre. Tecniche contemplate dalla legge, inizialmente piena di divieti e col passare degli anni modificata a colpi di interventi di tribunali e Corte costituzionale (altri sono in arrivo). In particolare, però, nei 76 laboratori pubblici (sui 357 totali) che avrebbero i requisiti per accontentare le coppie infertili sotto tutti i profili, in questi anni si è cercato di non affrontare il problema non essendo del tutto chiara l`interpretazione della legge. Fra pronunciamenti di tribunali, linee guida e raccomandazioni orali, come quello dell`ex sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella definito «diktat» dai Radicali, si era creata confusione. Risultato, le diagnosi genetiche erano diventate monopolio del privato, costo da 6 a 10 mila euro. Ora non dovrebbero più esserci dubbi interpretativi. Per Filomena Gallo, segretario dell`Associazione Coscioni, significa aver ristabilito il principio dell`equità delle cure: «I centri avranno l`obbligo di fornire indicazioni sullo stato di salute dell`embrione. Già una sentenza del 2007 aveva autorizzato una coppia a ottenere la diagnosi preimpianto. Con questa seconda decisione si entra nel merito». Emma Bonino, vicepresidente del Senato, conta le sentenze contro la legge 40: 
«In tutto 19. La conferma che è un testo ideologico e fuori dal contesto». Favorevole alla «svolta» Giovanni Mommi, responsabile della ginecologia del Microcitemico, dove prima del 2004, anno di entrata in vigore della legge 40, la diagnosi sull`embrione era un fiore all`occhiello. La Sardegna ha infatti un`alta incidenza di talassemia: «Il nostro ospedale non è attrezzato per l`esame. Il giudice però stabilisce che la Asl demandi il test a laboratori 
privati e paghi». 
Ironica Eugenia Roccella, deputata del Pdl: «Se fosse vero che i centri pubblici dovranno necessariamente dotarsi delle attrezzature per svolgere la diagnosi preimpianto sarebbe più semplice trasferire le competenze di Asl e Regioni direttamente ai tribunali che, a quanto pare, sono più preparati in questa materia. In quanto al merito i giudici hanno stabilito in pratica che un bambino con talassemia ha meno diritto di nascere rispetto a una persona sana. E un chiaro presupposto eugenetico».