Fecondazione assistita, il Tribunale: centri pubblici offrano diagnosi preimpianto

Adnkronos

I centri pubblici italiani specializzati in Procreazione medicalmente assistita (Pma) devono offrire la diagnosi preimpianto alle coppie che la richiedono perché affette da malattie genetiche. Questo in sintesi è quanto intima il tribunale di Cagliari, che ha emanato un’ordinanza a seguito del ricorso di due aspiranti genitori, lei affetta da talassemia, lui portatore sano. Si erano rivolti all’ospedale microcitemico del capoluogo sardo, vedendosi negare la tecnica che consente di sapere se l’embrione è anch’esso affetto dalla patologia.La sentenza, oggetto di una conferenza stampa organizzata oggi a Roma dall’associazione Luca Coscioni, va dunque “a ‘correggere’ la situazione italiana – ha spiegato Filomena Gallo, segretario dell’associazione – in cui su 357 centri di Pma attivi, nessuno dei 76 pubblici offre la diagnosi preimpianto, nonostante con le linee guida Turco del 2008 sulla legge 40/2004 sia consentita. Non solo: non viene offerta la crioconservazione e si osserva ancora il limite dei 3 embrioni creati, anche se non è più obbligatorio dopo la sentenza della Consulta del 2009. Da oggi, grazie all’ordinanza del tribunale di Cagliari, questi centri sono a rischio”.
Nella sentenza, il tribunale di Cagliari ordina dunque al laboratorio di citogenetica dell’ospedale Microcitemico di eseguire l’indagine diagnostica preimpianto o di utilizzare strutture esterne. Se non fosse stato così, la coppia avrebbe potuto rivolgersi a una struttura privata“i cui costi – ha spiegato Gallo – si aggirano fra i 6 e i 10 mila euro a ciclo, cifra incompatibile con il loro reddito”.
“Ora – ha detto Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni – il governo deve intervenire sulle 76 strutture pubbliche operanti in Italia, affinché la legge 40 venga applicata. Noi siamo a disposizione delle coppie che incontrano ostacoli per portare i loro casi di fronte alla giustizia. Ma speriamo che non sia necessario”. Presentata alla conferenza anche la testimonianza dell’aspirante madre ricorsa al tribunale di Cagliari: “Per una donna affetta da talassemia che vuole un figlio e lo vuole far nascere sano – ha detto in un video – ci sono due opzioni: ricorrere alla diagnosi preimpianto, oppure rimanere incinta, fare gli esami prenatali e, se il feto si scopre malato, abortire. Io e mio marito desideriamo non trasmettere questa malattia e tutte le conseguenze che comporta a nostro figlio”.
“Cambiare questa legge a colpi di sentenza – ha aggiunto Livia Turco, deputata Pd – fa parte della strategia di riduzione del danno ma non può non esserci un’azione legislativa. I magistrati e le famiglie non possono sostituirsi a essa”.