Come fotografare i comportamenti

Corriere della Sera
Paolo Legrenzi

Nell’ottobre 2012 Alvin Roth ha vinto il Premio Nobel per l’economia. Nel 1990 Roth aveva organizzato a Pittsburgh una conferenza dedicata all’economia sperimentale. Ne nacque un saggio che sarebbe stato presentato al convegno del 1994 degli economisti americani. Insieme al classico manuale di Roth, questi lavori segnano l’accettazione da parte degli studiosi tradizionali di un nuovo filone di ricerca. Quando vidi sul tavolo di un collega di Ca’ Foscari questi libri, pensai subito: è fatta, sarà con lui che un giorno riuscirò a far nascere a Venezia un laboratorio dedicato a questi studi. L’economia sperimentale si pone domande semplici: le persone si comportano secondo i modelli teorizzati a tavolino dagli economisti? E possibile misurare in laboratorio quanto il comportamento umano si discosti da quello previsto dalle teorie? Se ignorassimo la storia delle scienze umane dell’ultimo secolo, potremmo stupirci del fatto che i tentativi di rispondere a queste domande non abbiano caratterizzato le discipline economiche fin dagli inizi. In realtà gli economisti non hanno fatto altro che imitare i fisici, che tanto successo hanno avuto immaginando degli oggetti ideali, privi di alcune caratteristiche degli eventi quotidiani. Sono proprio queste semplificazioni che hanno permesso di matematizzare la fisica e i fondamenti delle scienze economiche. Va inoltre aggiunto, per spiegare come mai l’economia sperimentale sia nata così tardi, che gli economisti non erano soli in questo tentativo riduzionista. Quando si è cercato di studiare scientificamente il comportamento umano, anche sociologi, psicologi e politologi si sono trovati di fronte a un’analoga sfida metodologica. È difficile capire che cosa passa dentro la testa delle persone. E molto più facile osservare e misurare i comportamenti. Persino gli studiosi neorealisti delle relazioni internazionali hanno provato a basarsi su quello che gli attori fanno, e non su quello che pensano. Non sono stati tentativi inutili. Hanno permesso «indagini preliminari utili a scattare fotografie da grandi distanze», come ha osservato Panebianco nel bellissimo saggio L’automa e lo spirito (2009). Gli economisti non si sono quindi domandati quali siano i gusti delle persone, ma come questi «si rivelino» nelle scelte degli individui. Se Tizio preferisce A a B vuol dire che, per qualche motivo per noi irrilevante, A gli piace di più. Il ragionamento non fa una grinza. Come mai tale approccio allo studio dell’uomo è incompleto? Perché in molti casi bisogna conoscere le rappresentazioni mentali degli attori (un’ovvietà per il senso comune). Noam Chomsky, per primo, ha dimostrato che noi nasciamo dotati della capacità mentale di imparare i linguaggi, e dobbiamo conoscerla per capire come le persone comunicano. Da allora la psicologia, la sociologia e l’economia si sono poste il problema dei limiti innati del sistema mente/cervello, e di come tali vincoli influenzino i comportamenti. Per esempio: le persone, di fronte a certe decisioni, sbagliano sistematicamente, nel senso che non seguono i dettami della razionalità economica. A questo punto ci si è trovati di fronte a un bivio. Alcuni studiosi ritengono che economisti, sociologi e politologi debbano continuare a lavorare come sempre: in fondo non si cambiano i comandamenti perché i peccatori non seguono i precetti. Certo, ci si domanda perché i peccatori sbaglino. Una via diversa è intrapresa da Riccardo Viale nel saggio Methodological Cognitivism, dove auspica che le diverse scienze umane facciano proprie le recenti scoperte sui meccanismi del sistema mente/cervello. Viale ricostruisce fedelmente la storia qui accennata e presenta in modo esauriente i diversi ambiti dell’economia, finanza, sociologia in cui è stata più fruttuosa l’integrazione tra teorie e scoperte sperimentali degli scienziati cognitivi sul sistema mente/cervello. Cognitivismo metodologico, appunto.