Yes we cannabis

banner appello cannabis
il Manifesto
Marco d’Eramo

I pensosi bramini della politologia ci rifilano sempre banalità che si rivelano per lo meno fuorvianti. La prima ovvietà che ci viene ripetuta con arcana saggezza è che l’America è uscita dalle urne spaccata in due. E quando mai non Io è stata? E vero, Barack Obama ha vinto solo per 60,2 milioni di voti contro 57,5, ovvero un vantaggio di 2,7 milioni di voti su 117,7 espressi (non è chiaro se gli 8,2 milioni di voti della Florida siano inclusi in questo conto, ma in ogni caso sarebbero divisi quasi equamente a metà visto che allo stato attuale Obama ha un vantaggio di soli 46.000 voti). In termini percentuali dunque Obama ha vinto col 50% del voto popolare contro 48%. Ma come dimenticare che nel 1960 John Kennedy batté Richard Nixon per soli 120.000 voti di scarto su 68,3 milioni di suffragi, cioè con lo 0,2% di vantaggio (49,7% contro 49,5)? E come non ricordare l’elezione del 2000 che fu decisa a favore di George W. Bush a scapito di Al Gore da soli 500 (contestati) voti in Florida, in cui Bush vinse nonostante avesse ottenuto meno voti popolari di Gore (47,9% contro 48,4)? Con un sistema bipartitico l’America non può non essere spaccata in due. Più interessante, si è dimostrata vera solo in parte la previsione di una forte astensione: se alla fine si saranno recati alle urne 125,6 milioni di statunitensi (compresi gli 8,2 della Florida), l’affluenza sarà stata inferiore di 7 milioni a quella del 2008 (quando beral furono espressi 133 milioni di suffragi), ma solo del 5,6%. Comunque Obama ha mantenuto quasi tutti gli stati conquistati nel 2008 con l’eccezione di Indiana e North Carolina: la geografia degli Stati uniti mostra non solo che i democratici dominano incontrastati nel West (California, Nevada, Oregon, Washington) e negli stati a vecchia industriali7ja7ione del nordest (Virginia, Pennsylvania, Maryland, New York, Connecticut, Rhode Island, Massachusetts, Delaware, Maine, Ohio, Michigan, Illinois) ma si riprendono stati che avevano perso (Minnesota, Wisconsin, Iowa) o consolidano nuove conquiste (Colorado, New Mexico). Questa geografia è confermata dai seggi di Camera e Senato, dove le vecchie maggioranze escono praticamente intatte: al Senato i democratici guadagnano Massachusetts, Indiana e North Dakota e arriverebbero a 54 contro 45 più il senatore socialista del Vermont, mentre alla Camera non sono stati ancora attribuiti 11 seggi: per il momento i democratici sono 191 e i repubblicani 232 (nella Camera attuale repubblicani 242 e democratici 193). Il secondo termine che va forte è «evoluzione demografica»: la vittoria dei democratici sarebbe dovuta alla mutata composizione etnico-razziale-sessuale degli Stati uniti. Poiché votano democratico in maggioranza i neri, gli ispanici, le donne single, i giovani, gli omosessuali – e poiché ci sono sempre più giovani, omosessuali, donne single, ispanici, neri (sorvoliamo sulla sconcertante eterogeneità di queste categorie) – il declino del Grand Old Party sarebbe assicurato. Questo fattore ha di certo influito nello spostamento di alcuni swing states, come Virginia, Pennsylvania, Nevada, Colorado e Wisconsin. Ma questa tesi dimentica che i giovani poi invecchiano e che molto spesso le donne single si sposano e fanno figli e che quindi i voti democratici di oggi possono tranquillamente diventare voti repubblicani di domani (le mamme sposate bianche votano in maggioranza repubblicano). La verità è che un altro sommovimento sociale e culturale sta avvenendo negli Usa: si sta invertendo la suburbanizzazione del paese che aveva dominato tutto il XX secolo, dalla comparsa dell’automobile in poi, con una tremenda accelerazione nel secondo dopoguerra dopo la desegregazione razziale: i bianchi che si erano rifugiati in suburbi omogenei per razza e reddito per sfuggire al contatto con altre razze ora tornano un po’ alla volta in città. Questa riurbanizzazione delle persone induce una secolarizzazione delle mentalità. Non a caso, il seggio senatoriale del Massachusetts che per mezzo secolo era stato dei Kennedy (prima John, poi Robert, poi Ted) e che con l’ondata reazionaria del 2010 era andato ai repubblicani, è stato riconquistato dalla candidata democratica Elisabeth Warren, la prima lesbica dichiarata a diventare senatrice. Per lo stesso motivo il Colorado e lo stato di Washington sono i primi stati in cui un referendum ha legalizzato la vendita di marijuana a scopo ricreativo (in Massachusetts è stata legalizzata la vendita a scopo terapeutico, come vigeva già in California). Le donne single hanno votato massicciamente Obama non solo e non tanto per una questione di anno di nascita o status sociale, ma perché era in pericolo la politica della contraccezione, era messo in forse il diritto all’aborto. Il razzismo in America non è morto, anzi, ma è meno virulento tra i giovani e ciò rende anacronistica la southern strategy repubblicana, quella del sempre meno tasse – che in pratica significa solo che i bianchi degli stati meridionali Usa si rifiutano di pagare per le scuole pubbliche, le case popolari e gli ospedali di cui usufruiranno i neri. Un’altra sublime profondità di queste ore riguarda il fiscal cliff il baratro fiscale che si spalancherebbe sotto gli Stati uniti. vero che il debito pubblico degli Stati uniti supera i 16.200 miliardi di dollari (di cui 4.800 debiti tra varie entità statali), cioè ammonta al 106% del Prodotto interno lordo Usa. Ma il debito pubblico del Giappone è il 230% del PiI nipponico e nessuno grida al fiscal cliff Semplicemente perché non è iscritto nelle priorità politiche di Tokyo. Porre il deficit fiscale al centro dell’agenda politica statunitense è stata una precisa mossa propagandistica dei repubblicani che ora ne sono prigionieri: se il Congresso davvero approvasse i tagli di spesa annunciati l’anno scorso, al sistema economico verrebbero sottratte risorse pari a circa il 4% del Pii, un’enormità che scatenerebbe una nuova violenta recessione mondiale. Perciò nessuno sa come uscire dalla trappola in cui si è cacciato. Sarà questo il primo test della coabitazione (letteralmente in camere separate) tra il presidente democratico e il Congresso repubblicano.