Italiani, più rispetto per la scienza

Il Sole 24 Ore

Ha ragione «Nature»: «In Italia la percezione è che la scienza non conti nulla». Così recita il duro editoriale di questa settimana. La comunità scientifica internazionale, vi si legge, è «scioccata» da tre recenti sentenze giudiziarie ai danni di scienziati, rei soltanto di non aver voluto assecondare le aspettative e i luoghi comuni che l’opinione pubblica nutre nei confronti della scienza. Non solo la sentenza dell’Aquila (cui ho dedicato la precedente Filosofia minima), ma anche quella del 12 ottobre in cui la Cassazione stabilisce un nesso tra tumore al cervello e uso del cellulare, e il caso della Green Hill di Brescia, vittima di un assalto animalista. «Si suppone che i giudici italiani – scrive “Nature” – come accade in tutte le democrazie, prendano decisioni basate solo sulla legge. Ma è difficile evitare l’influenza proveniente dagli umori della pubblica opinione, e in Italia la pubblica opinione manca completamente di comprensione, se non di rispetto, perla scienza». «Nature» dimentica peraltro le sentenze dei giudici che hanno imposto pseudoterapie con cosiddette staminali, ignorando i pareri di AIFA e scienziati e di cui su queste pagine abbiamo sollevato una discussione di metodo. L’Italia, si sa, storicamente non ha mai brillato per rispetto nei confronti della scienza. Ma, in pieno XXI secolo, i tempi sarebbero maturi per una rivoluzione culturale in questo senso. Sì, perché la diffusione di una percezione positiva della scienza è un fatto squisitamente culturale. Se non se ne capiscono i meccanismi di fondo diventa anche difficile, quando è il caso, indirizzare delle critiche corrette. E tutto finisce nelle mani dei giudici o dei politici, altre categorie a loro volta assai lontane, in Italia, dalla cultura scientifica. L’articolo di «Nature» è assai duro anche con il ministro Profumo, che ha rimesso in discussione – attraverso la legge di stabilità del Governo Monti – l’equilibrio che la Riforma della Ricerca del 2009 aveva creato. I dodici enti perla ricerca esistenti in Italia, sottolinea «Nature», sono oggi retti da presidenti tecnici e non politici, e stanno lavorando alla stesura dei nuovi statuti che dovrebbero garantire in futuro un sistema più meritocratico. Profumo li vorrebbe smantellare tutti per riunirli in un unico ente, attuando «Murky manoeuvres» (oscure manovre) – questo è il titolo dell’editoriale – senza nemmeno essersi consultato con la comunità scientifica: una proposta definita «dilettantesca» che denoterebbe da parte del ministro un atteggiamento simile a quello dell’italiano medio, il quale ritiene che la sdenza, come la cultura, in fondo non conti molto e che su di essa si possa tranquillamente risparmiare. Su questo punto però è difficile dar ragione a «Nature» fino in fondo. Perché? Perché l’Italia è un paese ancora più strampalato di come la rivista lo descrive e non è mai così facile distribuire le ragioni e i torti. Ovvero perché anche gli scienziati italiani che hanno ispirato l’editoriale di «Nature» hanno delle precise responsabilità per il fatto che la percezione della scienza è così distorta in Italia e che gli enti di ricerca solo eccezionalmente sono stati governati, dagli stessi scienziati, sulla base del merito.