Aumentano le terapie per la sclerosi multipla

Corriere della Sera
Elena Meli

Chi si ammala oggi di sclerosi multipla può contare su un arsenale di farmaci praticamente unico nel panorama delle malattie neurologiche: a giudicare dalla valanga di dati su medicinali vecchi e nuovi, discussi a Lione durante l’ultimo congresso dell’European Committee for Treatment and Research in Multiple Sclerosis (ECTRIMS), pare ci sia quasi l’imbarazzo della scelta. Ed è sorprendente per un problema che riguarda un numero relativamente contenuto di pazienti (in Italia sono circa 63 mila). «La sclerosi multipla è un “laboratorio” su cui tutti si esercitano perché è una malattia sia cronica che acuta, che si manifesta con una “crisi” decenni prima della fase cronica di disabilità: trovare cure efficaci potrebbe aprire la strada per intervenire anche in altre malattie, perché ad esempio dalla sclerosi multipla abbiamo imparato che prima ci si cura, più è possibile sperare di cambiare il corso della patologia — spiega Giancarlo Comi, presidente della Società Italiana di Neurologia —. Oggi si può personalizzare la terapia: abbiamo molte opzioni e soprattutto siamo anche in grado di prevedere come evolverà la malattia, sapendo che cosa è ragionevole aspettarsi dalle cure e quando è opportuno essere più aggressivi». Una ricerca pubblicata un mese fa su Science Translational Medicine, finanziata anche dalla Fondazione Italiana Sclerosi Multipla, ha verificato ad esempio che è possibile individuare due diversi sottotipi di pazienti, più o meno esposti a una maggior frequenza di recidive, grazie all’analisi dell’RNA; anche i fattori genetici e ambientali che condizionano la malattia sono meglio noti rispetto al passato e tutto ciò, unito al sempre maggior numero di farmaci disponibili, induce all’ottimismo. Soprattutto perché sembra finalmente ampliarsi l’orizzonte dei medicinali da prendere per bocca: il primo arrivato in Italia, fingolimod, ha un profilo di sicurezza da chiarire e quindi è ancora usato in seconda battuta, ma i pazienti sognano di poter abbandonare le iniezioni e così si guarda al dimetilfumarato, un farmaco orale che dovrebbe arrivare in Italia entro la prima metà del 2013. «E un principio attivo simile a un medicinale usato da decenni contro la psoriasi, con un ottimo profilo di tollerabilità e sicurezza emerso sia dagli studi nella sclerosi multipla sia da anni di uso in clinica per altre indicazioni —interviene Maria Pia Amato, coordinatrice del Centro Sclerosi Multipla all’ospedale universitario Careggi di Firenze —. Agisce attivando i meccanismi di difesa cellulari contro lo stress ossidativo; pertanto, oltre a un’azione antinfiammatoria diretta, ha un probabile effetto protettivo sui neuroni». Nelle sperimentazioni ha ridotto il numero di recidive di circa il 50% e le lesioni visibili alla risonanza magnetica; l’effetto complessivo sulla disabilità a lungo termine andrà valutato nei prossimi anni visti i tempi di progressione della malattia, ma i primi dati autorizzano una cauta fiducia. «Il dimetilfumarato grazie al suo buon profilo di sicurezza potrebbe essere approvato come farmaco di prima linea, accanto a interferone e glatiramer acetato — osserva Carlo Pozzilli, responsabile del Centro Sclerosi Multipla dell’Università La Sapienza di Roma —. All’inizio, infatti, è importante scegliere medicinali che provochino il minor numero possibile di effetti collaterali e siano semplici da usare: quando la prima crisi si è risolta e il paziente ha recuperato bene, è restio a fare iniezioni tutti i giorni». Però curarsi subito è indispensabile: «Un paziente costa in media 40 mila euro all’ anno fra terapie e costi indiretti, come la perdita di produttività, ma la cifra raddoppia quando diventa disabile. Un trattamento tempestivo può diminuire i costi nel lungo periodo» osserva Amato. La questione economica è un tasto dolente, perché i farmaci non sono a buon mercato: il “semplice” interferone costa dagli 800 ai 1300 euro al mese, con i nuovi medicinali si possono sfiorare i 3 mila euro al mese. «I prezzi dei nuovi prodotti tendono inevitabilmente a salire e questo crea ovvie difficoltà, anche perché purtroppo ogni Regione ha le sue regole — dice Pozzilli —. Per il primo farmaco orale inserito in Gazzetta ufficiale nel novembre scorso, ad esempio, le prescrizioni sono iniziate a gennaio in Lombardia, ma soltanto prima dell’estate nel Lazio e a settembre in Veneto. A volte esistono discrepanze perfino fra ASL e ospedali di una stessa regione o provincia: tutto questo crea disparità, alcuni malati cambiano perfino residenza pur di avere le cure. La speranza è che venga tenuto ragionevolmente basso almeno il prezzo dei farmaci da usare in prima linea: sono circa 35-40 mila i pazienti in terapia preventiva, ma di questi appena 5 mila nei registri per la somministrazione di medicinali di seconda linea, più costosi ma anche di nicchia. Detto ciò le prospettive sono incoraggianti per chi si ammala oggi. Per chi ha pesanti disabilità perché il danno ai neuroni c’è già stato non abbiamo ancora farmaci davvero “riparatori”». «Qualcosa si può fare con fampridina, un medicinale che migliora le prestazioni delle fibre nervose solo parzialmente danneggiate — osserva Comi —. Altrimenti esistono trattamenti di stimolazione con onde magnetiche ad alta potenza, che “rinforzano” le connessioni cerebrali; assieme a un intervento di riabilitazione possono consolidare i miglioramenti e, ad esempio, aiutare il paziente a camminare meglio».