Staminali. Così ho visto ringiovanire le cellule umane

La Repubblica
Shinya Yamanaka*

Lo scienziato giapponese, Nobel per la Medicina insieme al collega inglese, spiega la tecnica usata per creare, dalla pelle, unità biologiche pluripotenti “riprogrammate” in grado di produrre tessuto nervoso, muscolare, osseo e qualunque altro organo del corpo. Come per il sangue, l’idea di una “banca”.

Le cellule staminali si definiscono tali per la loro capacità di generare moltissimi tipi diversi di cellule. Hanno due caratteristiche principali: multi potenzialità, appunto, e capacità di proliferare in modo virtualmente infinito. Come è noto, le cellule staminali embrionali derivano dagli zigoti e in particolare dalla zona interna della blastocisti che si forma dopo circa una settimana dalla fertilizzazione, quando essa s’impianta nell’utero. Nel 1981 i ricercatori furono in grado in grado di prelevare le cellule dalle blastocisti impiantate nell’utero e di espanderle in vitro nel topo. 

Pertanto, tali cellule sono utilizzate per scopi scientifici da ormai quasi circa trent’anni. Nel 1998 un professore dell’università del Wisconsin, James Thompson, riuscì a generare linee di cellule staminali embrionali da embrioni umani; dotate delle stesse caratteristiche delle cellule staminali embrionali di topo: capacità di espandersi all’infinito e diventare cellule di qualsiasi tipo in sistemi di coltura in vitro, dai neuroni alle cellule del sangue fino alle cellule del cuore. 
In linea teorica, è quindi possibile utilizzare le cellule somatiche differenziate derivate 
dalle cellule embrionali, per la terapia di diversi tipi di patologie degenerative, consentendo un recupero funzionale dell’organo affetto dalla malattia. Sappiamo, però, che esistono due aspetti critici che disincentivano l’utilizzo di queste cellule: il primo è di tipo immunologico, poiché queste cellule non sono riconosciute come 
“proprie” dall’organismo in cui verranno iniettate, in quanto derivate da embrioni con corredo genetico diverso dall’organismo in cui si debbono impiantare; il secondo aspetto è di tipo etico: la generazione di linee cellulari da embrioni comporta infatti la manipolazione, se non la distruzione, degli embrioni stessi. 
Maveniamo ora all’oggetto della mia scoperta: le cellule staminali adulte riprogrammate, le staminali pluripotenti indotte (iPS). Ne11999, quando 
ottenni il mio primo laboratorio come ricercatore indipendente, decisi di concentrare i miei sforzi sulla generazione di cellule simil-staminali embrionali derivanti dalle cellule adulte con capacità multidifferenziative, un processo che 
comporta una riprogrammazione nucleare. L’intento che mi prefissai allora era successivo all’esperimento di donazione della famosa pecora Dolly attraverso la tecnica del trasferimento nucleare, che implica il concetto che i nuclei delle cellule adulte, in determinati contesti, possono riprogrammarsi per diventare cellule embrionali e generare addirittura un organismo intero, come una pecora Dolly. All’epoca non si aveva alcuna idea di quali potessero essere i meccanismi ed i geni implicati in questa trasformazione. In appena sette anni riuscimmo a centrare il nostro obiettivo: attraverso il trasferimento 
di soli quattro geni all’interno di una cellula adulta, assistemmo alla trasformazione della cellula stessa in una simil-staminale, che denominammo “cellula staminale pluripotente indotta” (stem cell-iPS), per differenziarla da quella embrionale, 
che invece è “naturale”. Nel 2006 siamo poi riusciti ad ottenere le iPS da fibroblasti della pelle dal topo; nel 2007 le abbiamo tratte dai fibroplasti della pelle di uomo. Successivamente, siamo riusciti a ricavare le cellule staminali pluripotenti indotte con l’utilizzo di solo tre fattori di trascrizione piuttosto che con quattro, escludendo il gene myc, un potente oncogene in grado quindi di causare l’insorgenza di tumori. 
A seguito di queste scoperte, l’università di Kyoto ha deciso di aprire un centro specializzato nella produzione e nell’utilizzo in terapia di questo nuovo tipo di cellule staminali. Il centro collabora anche molto con gli ospedali. E proprio l’importanza dell’interazione con i malati, cí ha spinto a creare all’interno dell’istituto un dipartimento che tratti le problematiche collegate all’applicazione di queste tecnologie alla salute dell’uomo. 

Come otteniamo dunque le cellule staminali pluripotentiindotte? Per generare le iPS abbiamo semplicemente bisogno di una piccola biopsia cutanea. Queste biopsie vengono poste nella piastra per le colture all’interno della quale si lasciano 
crescere le cellule. I geni che inducono la riprogrammazione sono introdotti 
nelle cellule durante la fase di espansione con vettori retro virali. Una volta “infettate”, queste cellule diventano iPS nel giro di circa quattro settimane. Per espanderle abbiamo bisogno poi di altre due settimane e, infine, di altre quattro per differenziarle. 
Come detto, queste cellule possono differenziare verso qualsiasi tessuto, tra cui i cardiomiociti (cellule della contrattilità miocardica) riconoscibili già in coltura. Uno degli aspetti più significativi delle iPS è che, in caso di necessità, si possono generare dallo stesso paziente, quindi cellule con un identico corredo genetico del paziente 
in cui s’inietteranno. (…) Ad esempio, in soggetti colpiti da una malattia cardiaca, le cellule iPS possono dare origine a cardiomiociti sani. In altre parole, è possibile generare cellule sane da soggetti malati. E le applicazioni sono svariate: si possono impiegare le iPS per differenziarle in neuroni. Proprio questi esperimenti hanno dimostrato che i neuroni iPS-derivati (sia di topo sia di uomo) hanno la stessa capacità dei neuroni ottenuti da cellule staminali embrionali di curare, o comunque di migliorare, lo stato di menomazione per danno spinale (…) . Quello che stiamo facendo attualmente è utilizzare le cellule neuronali derivanti dalle iPS umane in modelli di danno spinale di scimmia. 
Con ulteriori modifiche alla nostra tecnologia iniziale, abbiamo costruito nuovi vettori che non entrano nel genoma dell’ospite per trasportare i fattori necessari alla conversione dei fibroblasti in iPS. È noto infatti che l’introduzione di materiale genetico in prossimità di oncogeni, causa tumori. 
Bisogna considerare però che la produzione di iPS per uso clinico comporta costi elevati, poiché sono necessari ambienti asettici, molto costosi da mantenere. Un problema non secondario per l’impiego delle iPS in terapia è legato anche ai tempi di ottenimento delle cellule differenziate. Il danno spinale necessita di terapia cellulare 
immediata, mentre sono necessari quattro-sei mesi prima di ottenere neuroni da fibroblasti dello stesso paziente. È pertanto essenziale avere cellule da impiantare nell’arco al massimo di otto giorni dalla lesione midollare, come dimostrato 
nel topo. Per questo motivo, il nostro centro sta creando una banca di iPS da volontari sani. Immaginiamola come una banca del sangue cui si ricorre quando non è possibile utilizzare il sangue del paziente. Allo stesso modo, le cellule staminali pluripotenti indotte verranno mantenute in un archivio e utilizzate quando e se necessario (…). Così come esistono vari gruppi sanguigni compatibili con i vari pazienti, allo stesso modo anche in questo campo si dovrà condurre una ricerca 
sulla compatibilità. La sfida è ambiziosa poiché mentre i gruppi sanguigni sono quattro, le combinazioni di cellule sono più di diecimila, per cui l’obiettivo primario è quello di trovare una sorta di “gruppo 0” che possa creare le condizioni 
di massima compatibilità con il maggior numero di pazienti. 
Abbiamo calcolato che con 150 tipi di iPS è possibile coprire il 90% della popolazione. (….) Nel nostro istituto abbiamo stabilito la Facilityfor iPS Therapy, in cui creeremo doni di cellule iPS che coprono tutto il sistema di istocompatibilità (HLA) nella popolazione giapponese (…). Altra interessante applicazione delle iPS è la generazione di modelli in vitro di malattia umana. Molti gruppi hanno generato neuroni da cellule iPS da pazienti con sclerosi laterale amiotrofica, causata dalla degenerazione dei motoneuroni. (…) Rimangono comunque da risolvere diverse problematiche, come impedire che nell’organismo ospite siano trapiantate cellule non completamente differenziate, processo che potrebbe generare dei teratomi, tumori embrionali derivanti dalle cellule staminali. Si deve tenere presente infatti che la riprogrammazione ha molti aspetti in comune con i meccanismi molecolari del cancro: il tumore è proprio una riprogrammazione del nucleo (…). In conclusione, siamo ancora agli inizi di questa affascinante prospettiva e abbiamo ancora molto da lavorare prima che queste cellule diventino una realtà clinica peri prossimi anni.

 
*Kyoto University 
Premio Nobel Medicina 2012