Quella sul fine vita è una buona legge

Famiglia Cristiana
Luigi Lorenzetti

Il disegno dì legge di fine vita, denominato Disposizioni di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni rere conosce la libertà di cura: spetta al anticipate di trattamento (Dat),
dalla Camera dei deputati ritorna al Senato per l’approvazione definitiva. L’iter di due anni e i diversi rinvii nelle Commissioni mostrano a sufficienza che non è facile conciliare giuridicamente i diversi valori in conflitto: autodeterminazione del soggetto, anche di decidere quando e come morire? ll ruolo del medico: esecutore incondizionato della volontà del malato? Rifiuto dell’accanimento terapeutico: anche dell’abbandono delle cure ordinarie? L’idratazione e alimentazione assistite: trattamenti di sostegno vitale o cure straordinarie? Il punto di partenza, nel rispondere a questi interrogativi, è la centralità dei soggetto (paziente, malato) che, però, non è solo: è in relazione. Spetta al soggetto dare il consenso libero e informato alle cure da accogliere o da rifiutare. È un diritto riconosciuto anche dalla Costituzione italiana che, all’articolo 32, afferma: "Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario". Ci si domanda, tuttavia, se l’autodeterminazione dei soggetto è assoluta e incondizionata fino a includere il riconoscimento del diritto a morire (eutanasia).
L’interrogativo è sufficiente per motivare l’opportunità, anzi la necessità di una normativa al riguardo per non correre il rischio di avallare le più diverse e anche opposte interpretazioni: diritto a morire, o viceversa, diritto a vivere. Il disegno di legge parte dal presupposto che non esiste il diritto a morire; esiste invece il diritto di vivere e a essere aiutati a vivere. Si proibisce così ogni trattamento medico che, per azione o per omissione, cagioni la morte del paziente. Si riconosce la libertà di cura: spetta al soggetto, sufficientemente informato, comunicare al medico la sua volontà
sulle cure da accogliere. In previsione di una situazione nella quale non sarà in grado di intendere e di volere, può anticipare la sua volontà attraverso una dichiarazione scritta che, però, non può contenere la sospensione delle cure ordinarie, che equivale a domanda di eutanasia.
L’idratazione e alimentazione assistite (artificiali) – era il nodo principale del dibattito a riguardo dei malati in stato vegetativo persistente – sono trattamenti vitali e, quindi, obbligatori, salvo i casi nei quali risultano inefficaci e dannosi. Inoltre, il disegno di legge considera il rapporto medico-paziente in termini di alleanza, vale a dire il medico non è un esecutore passivo della volontà dei malato; il medico ha una sua responsabilità. Le disposizioni dei malato sono orientamenti in base ai quali il medico – con il fiduciario se indicato perviene alla giusta decisione. Una visione complessiva giustifica una valutazione positiva della legge. Contribuirà all’umanizzazione del morire umano se si comprendono i valori ai quali intende servire: la dignità del morire umano che si oppone sia all’eutanasia, da un lato, come alle cure sproporzionate dall’altro; l’accompagnamento al malato e alla sua famiglia; infine, la consapevolezza che il malato, in stato vegetativo persistente, è persona vivente: nessuno, privato o pubblico, può essere autorizzato a spegnere quell’esistenza e, così, chiudere ogni speranza.