I neuroni distrutti dal Parkinson “ricreati” dalla pelle in laboratorio

Corriere della Sera
Edoardo Bonicelli

Alcune cellule fondamentali del corpo umano si possono oggi produrre direttamente senza passare per una fase di cellula staminale. E’ il caso dei neuroni dopaminergici del nostro cervello che si possono ottenere direttamente da cellule adulte della pelle. Un gruppo di ricerca italiano guidato da Vania Broccoli del San Raffaele di Milano ha appena pubblicato sulla rivista Nature i risultati di una ricerca su questo tema, in collaborazione con i gruppi di Alexander Dityatev dell’Istituto italiano di tecnologia (Iit) di Genova e di Stefano Gustincich della Sissa di Trieste. Partendo da cellule adulte, fibroblasti per la precisione, di topo oppure di uomo, i ricercatori sono riusciti a convertirle in quegli specifici neuroni del mesencefalo che producono dopamina e che contribuiscono a controllare i movimenti del nostro corpo, così che la loro assenza o ridotta attività causano i ben noti problemi associati al morbo di Parkinson.
Sono decenni che si cerca una soluzione cellulare per tale morbo. Poiché il danno implicato è relativamente ristretto – si tratta infatti di un difetto circoscritto a questo ti po"di neuroni – sembrerebbe facile porvi rimedio, ad esempio rimpiazzando le cellule non più funzionali con nuove cellule all’altezza del loro compito. Però per ora non ci si era riusciti. Viene quindi più che a proposito l’esperimento di Broccoli e collaboratori, che Nature ha ritenuto così importante da pubblicarlo e darne anche un’anteprima on-line. Cellule neuronali sono state già prodotte in vitro a partire da cellule staminali artificiali o anche direttamente da fibroblasti senza passare per una fase di cellula staminale. Si tratta però di una popolazione mista di neuroni di tutti i tipi e come tale difficilmente utilizzabile per scopi clinici. Il bello dell’esperimento di cui stiamo parlando è che porta alla produzione di soli neuroni dopaminergici, proprio quelli implicati nel Parkinson. Lo scopo viene raggiunto inserendo nei fibroblasti in coltura tre geni di alto livello gerarchico che li riprogrammano completamente nella direzione voluta.
Non passare attraverso una fase di cellula staminale, commentano gli autori, aggira il problema della generazione di possibili cellule tumorali, un rischio sempre in agguato quando si maneggiano cellule staminali indotte. Ovviamente si può contare così su un numero ridotto di cellule, ma trattandosi di fibroblasti il problema del numero di cellule troppo basso non esiste. Prima di essere riprogrammati, infatti, i fibroblasti possono essere coltivati in gran numero. Un gran bel lavoro che combina il rigore di una ricerca fondamentale con un notevole acume applicativo.

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