L’ultimo respiro

Gli Altri

Dalla vita apparente alla morte reale il passo è breve. Una questione di minuti, o forse di secondi. E una piccola quantità di gas che si sceglie di mandar su per il naso, oppure no. No, perché la mente è già sufficientemente annebbiata, i pensieri sfuocati, l’ansia sedata, il dolore zittito, momentaneamente, come un cane rabbioso dalla museruola.

Quella di inalare butano è una pratica molto diffusa in carcere, come tra i bambini delle favelas sniffare colla o benzina nel tentativo di scacciare la fame. I detenuti lo fanno per allontanare il male di vivere, si stordiscono con il gas – quello delle bombolette usate per cucinare – per evadere dalla realtà e perdere il contatto, per qualche istante o per sempre, con un’esistenza priva di obiettivi. Simile a una corsa senza ostacoli, né traguardi. Sono tanti però quelli che, magari inavvertitamente o inconsapevolmente, passano dall’assopimento alla morte. Domenica scorsa è toccato ad Alessandro Giordano, trentottenne originario di Salerno, recluso nel carcere “Due Palazzi” di Padova per reati legati alla sua tossicodipendenza. In base alla legge avrebbe potuto scontare la pena in affidamento terapeutico presso una comunità, invece si trovava in cella con davanti ancora tre anni di detenzione lenita solo dagli psicofarmaci. Come altre migliaia di tossicodipendenti detenuti nelle carceri italiane e come Walter Bonifacio, con il qual condivideva la cella e che appena dieci giorni prima aveva visto morire nella stessa maniera: ucciso dal gas. Il decesso di Alessandro Giordano è il quarto in due mesi nella Casa di Reclusione di Padova, considerata una delle migliori di Italia, dove 823 detenuti possono contare su due soli psicologi penitenziari per un totale di 54 ore mensili. E dove lo psichiatra, interpellato solo pochi giorni fa dalla radicale Rita Bernardini sul rischio di nuovi suicidi ha ammesso: “se mettessero me in galera, in queste condizioni, mi toglierei la vita dopo due giorni”. Dei quattro decessi contati a Padova da aprile ad oggi solo uno – avvenuto per impiccagione – è stato archiviato come suicidio. Gli altri tre, causati dall’inalazione di gas, sono ancora al vaglio delle autorità giudiziarie.

Scelta o incidente? Questo è il dilemma. Come se facesse davvero differenza, in un luogo dove la morte è reale e la vita apparente.

 

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