Rivoluzione inglese per i neopapà. La coppia sceglie chi resta a casa. Congedo di dieci mesi per lui o per lei. “Lo Stato non s’intromette”

Anche i papà hanno diritto di stare di più in, casa e di prendersi cura dei figli appena nati: e allora perché non fare una legge che li accontenti senza penalizzarli sul lavoro? La si può prendere anche da un altro punto di vista: deve essere solo la mamma a occuparsi della prole e a subire i contraccolpi professionali dell’assenza per gravidanza? Comunque sia, il problema è sempre uno: la politica a sostegno della famiglia.

 Sarà per un volgare calcolo elettorale poiché i consensi sono in calo o sarà perché i liberaldemocratici, che della coalizione di governo sono parte, hanno tutta la voglia di accreditarsi come una forza illuminata, ecco che il Regno Unito si appresta a battere una strada innovativa. Le famiglie valuteranno se spetterà alla donna o all’uomo chiedere la licenza o di maternità o di paternità per un periodo massimo di dieci mesi. I neo-padri avranno così la possibilità di affiancarsi alle mogli nel primo periodo post parto poi di ottenere l’estensione del permesso nel caso in cui la mamma opti per il rientro in ufficio. L’opzione non sarà più suggerita indirettamente dalle diverse condizioni e convenienze o professionali o retributive o aziendali. Sulla carta, mamma e papà uguali sono. Insomma, la vecchia regola (la donna a casa, l’uomo al lavoro) sta per essere archiviata. Pari diritti e pari opportunità per i genitori. Toccherà a Nick Clegg, il vicepremier, rivelare i dettagli del piano famiglia che entrerà in vigore da aprile e che trova consensi bipartisan. Ma si sa che Downing Street sul tema è molto sensibile. Lo erano i laburisti con Tony Blair e Gordon Brown e lo sono pure i conservatori e i liberaldemocratici. David Cameron, del resto, lo ha già dimostrato nell’agosto scorso. Quando gli nacque Florence Rose Endellion annunciò che per una quindicina di giorni si sarebbe occupato di biberon, pannolini e ninna-nanna, dimenticandosi di politica, vertici internazionali, economia. E fu davvero di parola, al punto che, nel settembre, in occasione della storica visita del Papa a Londra la sua seggiola nella cattedrale di Westminster rimase vuota. Disse pure che se fosse dipeso da lui la sua assenza dai palazzi del governo, avendone delegato la rappresentanza e la guida al numero due (Clegg), sarebbe stata ben più lunga dei 15 giorni consentiti dalla legge. La questione ora viene presa di petto anche a costo di provocare non poco disappunto nelle associazioni imprenditoriali. I laburisti avevano introdotto la licenza di paternità, senza alcuna decurtazione in busta paga, limitandola però alle due settimane. La scelta della coalizione è per certi versi rivoluzionaria. Il principio è di mettere la madre e il padre lavoratori sullo stesso piano e di lasciarli scegliere su chi dei due usufruirà del permesso. Si tratta di sovvertire antiche incrostazioni culturali e di ridiscutere certi modelli educativi. Lo ha chiarito lo stesso Nick Clegg: “Ogni governo che si presume liberale non può affidarsi a soluzioni dettate dal ruolo tradizionale dei sessi nel mondo del lavoro”. Perché la mamma deve stare a casa e il papà no? Perché non dare la stessa tutela alla madre lavoratrice e al padre lavoratore? Si volta pagina. Il piano è pronto: retribuzione al 90 per cento nelle prime sei settimane, poi a scalare fino al decimo mese. Ciò vale sia per la licenza di maternità sia per la licenza di paternità. Cosa che fa storcere il naso al direttore della Camera di Commercio Britannica, David Frost. “In tempo di crisi è un vero disastro”. La flessibilità familiare, così l’hanno chiamata, alle imprese non piace. Ma pare che a Downing Street non siano intenzionati a sentire ragione. Il governo di sua maestà vuole bene alle mamme. E pure ai papà. 

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