Beppino porta in scena la figlia Eluana e il diritto di morire

Onide Donati

bepUno spettacolo sobrio che affronta un tema ostico, difficile: il diritto a lasciarsi morire. Ma non in astratto, non a livello esclusivamente filosofico. Una questione di vita e di morte, veglia per E.E., portato ieri in scena in prima nazionale al Teatro Petrella di Longiano, è infatti la trasposizione teatrale della vicenda di Eluana Englaro. L’ha scritto il padre Beppino con Luca Radaelli (che ne è anche l’unico interprete). Beppino è in sala e segue attento la narrazione. Preceduto da aspre polemiche sulla stampa locale, Radaelli, col solo accompagnamento al piano e alla chitarra, dà all’ora e mezza del suo monologo la forza della veglia laica.

Con Beppino non ha, semplicemente, ricostruito la vicenda di Eluana: non ha fatto cronaca, e neanche controinformazione e men che meno polemica. Piuttosto ha ragionato, con citazioni letterarie ed anche prendendo spunto da un’intima vicenda personale (la fine del padre) sul perché la morte ha smesso di essere, ai tempi nostri, l’epilogo della vita ed è diventata un evento da esorcizzare, occultare, nella peggiore delle ipotesi da spettacolarizzare nella piazza mediatica dei telegiornali e delle cosiddette trasmissioni di approfondimento (con il plastico di Cogne a fare da spartiacque tra la morte che c’era prima e la morte di oggi).

Radaelli è di Lecco, abita a 200 metri da casa Englaro ma Eluana non l’ha mai conosciuta. Gli è rimasto impresso il fatto che tra i tanti diritti che ad Eluana sono stati negati c’era anche quello alla veglia che si tributa a tutti i morti. «Ed è per questo – spiega – che quel rito l’ho messo nel rito collettivo che si celebra dentro al teatro, dentro quella piccola comunità che si forma tra attori e spettatori». La narrazione è secca, precisa, fino quasi alla fine si parla di lei attraverso Shakespeare,Re Lear, Sofocle-Antigone, Cordelia, Foscolo, Dante… ma anche attraverso le canzoni di DeAndrè o di Guccini. Poi compare la fotografia della ragazza che quasi 18 anni fa entrò in uno stato vegetativo irreversibile e il teatro colto “vira” in toto nella vicenda di Eluana.

Si inizia a ragionare sul confine tra vita e morte, su cosa è giusto o non è giusto, sull’insopportabile prezzo che le moderne terapie mediche possono imporre in termini di libertà individuali.   E qui tocca a Beppino, che certo attore non è ma che ha una gran voglia di spiegare, confrontarsi, dibattere. Per Beppino ci sono «Loro», nel senso dei politici che hanno strumentalizzato fino all’inverosimile la sua privata vicenda, e ci sono le persone che hanno il diritto di tutelarsi, proteggersi, far valere la propria volontà. «La storia di Eluana è semplice e lineare. La natura doveva fare semplicemente il suo corso. Poi è entrato in ballo il concetto di vita senza limiti. E il diritto di lasciarsi morire è diventato obbligo di rimanere in uno stato vegetativo permanente. Io, grazie alla magistratura, ho ripristinato quel diritto».

Chiedono a Beppino se vale la pena fare il biotestamentoe lui risponde che sì, se ci fosse stato in giro un pezzo di carta così per Eluana sarebbe stato tutto più facile. Gli chiedono anche se pensa che il parlamento approverà la legge sul fine vita che prevede alimentazione e idratazione forzata e lui sembra dare per scontato l’esito in aula ma è anche profondamente convinto che il testo sarà bocciato dalla Corte costituzionale. Parla anche del suo impegno in politica il papà di Eluana: «Ho preso la tessera del Pd perché volevo sostenere Ignazio Marino. Sono sempre stato socialista e mi è sembrato naturale sostenere la sua battaglia laica in un partito di sinistra. Ma non ho mire politiche, l’ho fatto da semplice militante, non mi vedrete mai in parlamento».

Quello è un posto per «Loro», sembra dire Beppino. E finché «Loro» lavoreranno contro i diritti, lui non sarà mai della partita.

 

© 2010 Associazione Luca Coscioni. Tutti i diritti riservati