Cordone ombelicale. Dono che “guarisce”

Lucia Bellaspiga

Un taglio netto e via nel cestino dei rifiuti. Accade al 90% dei cordoni ombelicali al momento del parto, in Italia. Eppure, quel pezzetto di tessuto in cui per nove mesi è scorsa tanta vita è esattamente ciò che in qualche parte del mondo un malato aspettava per salvarsi.

Troppe mamme ancora non lo sanno, troppi ospedali non sono attrezzati con centri trasfusionali per le donazioni del cordone ombelicale… fatto sta che nel nostro Paese sono conservate 25mila unità di sangue cordonale contro le 75mila che sarebbero necessarie per curare – attraverso un trapianto di cellule staminali – patologie gravissime come le leucemie, i linfomi, le malattie immunologiche. Per questo, e per aprire gli occhi alle donne contro una vera frode di cui sono vittime, l’Adoces (una delle due associazioni che, insieme alla Adisco si occupa di donazione del cordone) ha iniziato una campagna di informazione a tappeto in tutti i consultori e le maternità d’Italia: 20mila guide per operatori e 100miia opuscoli per le famiglie. «In Italia la legge non consente di conservare il cordone del figlio in una banca privata e per uso proprio (autologo), come invece avviene all’estero – spiega Licinio Contu, presidente di Adoces, noto genetista ed ex docente di Ematologia nelle università di Parigi e di Cagliari -: esistono invece 18 banche pubbliche e gratuite, dove lo si può donare e conservare per uso solidale», ovvero per chiunque risulti compatibile e lo possa quindi ricevere per salvarsi la vita. Ma il business fa sì che «operatori senza scrupoli e molto attivi contattino le future mamme e le convincano a inviare il cordone all’estero», facendo leva sulla paura di eventuali malattie e ingannandole con l’idea che quello sia "l’antidoto". Naturalmente la conservazione nelle banche straniere costa all’ingresso 3.000 euro, poi ogni anno una retta salata. «Se pensa che nelle banche private del mondo sono conservati centinaia di migliaia di cordoni ombelicali e li moltiplica per 3.000 euro capisce che affare c’è dietro», denuncia l’esperto. La questione non è banalmente economica: una madre che scelga la conservazione autologa (riservata solo a suo figlio) si illude di tutelarlo, in realtà abbassa di molto le possibilità di guarirlo nel caso un giorno si ammali. I numeri parlano da soli: «Il cordone è conservato nell’azoto liquido a meno 190 gradi, ma dopo al massimo 15 anni si deve buttare», dunque dopo pochi anni si è comunque scoperti. «Se invece quella stessa donna lo affida a una banca pubblica per uso solidale, la probabilità statistica che finisca a un altro ricevente è solo del 2%, quindi nel 98% dei casi il donatore alla bisogna se lo ritrova a disposizione. E gratis». Il circolo virtuoso è chiaro: solo la donazione di tipo solidale garantisce un continuo "rifornimento" e bypassa il problema della scadenza, dando a tutti la possibilità di trovare in tempi brevi, anche dalla parte opposta del mondo, il sangue compatibile per guarire. Ma questo i procacciatori di affari alle madri non io raccontano. E neppure il tragico spreco che sta avvenendo. «Al 31 dicembre 2007 nelle banche private del mondo, per uso autologo, erano conservate 780miia unità di sangue cordonale, e di queste ne sono state utilizzate solo 99 – continua Contu -, le altre vanno perdute», mentre qualcuno da qualche parte muore perché non si trova un donatore. Alla stessa data, per fare un confronto, nelle banche mondiali per uso solidale c’erano invece 480mila cordoni, e di questi ben 8.000 sono stati trapiantati. Contu è ancora più esplicito: «La probabilità statistica che una conservazione autologa possa essere davvero utilizzata è 1 a 75mila»: significa che 74.999 volte va sprecata. E siccome nessuno di noi sa mai se in futuro sarà dalla parte dei sani o dei malati, il problema ci riguarda tutti. Basti dire che se le 780miia sacche di sangue cordonale finite a invecchiare nelle banche private estere fossero andate a quelle solidali, altri 24mila malati nel mondo avrebbero avuto il trapianto. Per fermare il flusso ingannevole (10mila madri italiane in buona fede ogni anno cadono nella trappola) la campagna dell’Adoces si affida a due strade: l’informazione alle famiglie e ai medici, e l’appello alle ostetriche. Un’interpellanza al ministro della Salute poi è stata presentata giorni fa: «La raccolta del cordone da inviare all’estero viene fatta subito dopo il parto, quindi a spese del servizio sanitario – ricorda Contu -. L’ospedale di Torino ha già applicato un ticket, ora va introdotto in tutti gli ospedali d’Italia». Infine l’appello alle madri perché le donazioni aumentino: «Solo il 50% dei cordoni prelevati risulta sano e utilizzabile, e la compatibilità è un vero ago nel pagliaio. Basterebbe che tutte facessero questo piccolo gesto di generosità».