Intervista a Enrico Fusco, candidato alla segreteria PD pugliese per Ignazio Marino

Enrico Fusco. Avvocato barese e omosessuale. Candidato alla Segreteria regionale del PD in Puglia. Comincio a scambiare qualche idea con lui e, appena può, Enrico sottolinea il suo essere “radicale”.
 
Enrico, quando dici “noi radicali” avverto quasi una punta di orgoglio nel tuo tono. Lo fai solo per imbonirti l’interlocutrice, o c’è qualcosa di più?
Il mio Dna è radicale. Sono laico e libertario, antiproibizionista e non violento. Sono stato l’unico vice-conciliatore autorizzato ad autenticare le firme per i referendum e per ottenere l’autorizzazione minacciai l’ufficio del Presidente della Corte di Appello di Bari di denuncia per omissione di atti di ufficio. Ho amato, per usare le parole che Pasolini non poté pronunciare, la passione dei Radicali, il loro coraggio laico, il loro essere eroici e sognatori. Poi l’amore è finito, resta il Dna.
Oggi non sei più iscritto ad un soggetto radicale. Secondo Pannella, è radicale solo chi versa l’obolo dell’iscrizione annuale; una concezione “rigida” dell’essere radicale, che francamente  non mi convince. Tu che ne pensi?
Penso che se Pannella fosse meno rigido sarebbe senatore a vita.
 
Lo statuto del PD, invece, è  assai rigido sulla questione della doppia tessera. La vieta tassativamente. Un partito, come ogni associazione privata, è libero di vietare “appartenenze multiple”, sia chiaro; eppure io non riesco a non vedere l’errore politico nella preclusione di quella polifonia culturale che è il sale di un partito progressista, aperto e plurale. Mi sembra un retaggio da “centralismo democratico” piuttosto che da partito democratico.
Il PD deve diventare quel partito inclusivo, che è delineato nella sua carta dei valori. Al momento ci sono troppe finte regole. La laicità, per esempio, è la regola che pochi rispettano. E questo è grave. Così come è grave che non si discuta e non si decida. Il “maanchismo” è la tomba della democrazia e sta diventando la tomba del PD. Gli elettori si allontanano perché il PD non è carne e neppure pesce, un matrimonio tra consanguinei che ha generato un mostro.
 
La debolezza “strutturale” del PD è, innanzitutto, una questione di regole, di legalità statutaria in assenza di meccanismi di controllo efficaci e affidabili. Ricordo ancora quando Piero Fassino mi rassicurava personalmente sul fatto che mai la Commissione Garanzia mi avrebbe cancellato dall’Anagrafe degli Iscritti per via della tessera radicale. Eppure ad alcuni compagni di Lecco, Udine e Vicenza la tessera del PD è stata rifiutata. Un polo “democratico” non dovrebbe fare del rispetto delle regole, chiare e condivise, un mezzo per favorire la contendibilità delle cariche contro l’arbitrio dei suoi capibastone?
Il PD, in questo momento, si regge sull’arbitrio di pochi, dove è lecito tutto ed il contrario di tutto. Qualcuno ricorderà la deputata inciliciata e le sue uscite illiberali sulla patologia di cui sarebbero affetti gli omosessuali: la stessa deputata sarebbe stata espulsa perfino dal club di Topolino, mentre è rimasta nel PD.
 
Nei documenti programmatici della candidatura di Marino ho ritrovato il ricordo toccante del poster di Che Guevara appeso nella sua camera di studente e l’excursus commovente sulla sua esperienza di medico con i veterani del Vietnam. La mozione, che apre con “noi italiani”, è puntellata da riferimenti all’”orgoglio” italiano e “alla grande nazione dei cittadini”. In economia l’approccio severissimo sia sulla crisi che sulla globalizzazione rasenta toni apertamente neointerventisti. Sulla democrazia interna del partito prevale un cauto silenzio. Sui diritti civili la candidatura Englaro è eloquente. Preferisco sorvolare sulla “questione morale” da lui paventata dopo l’episodio dello stupro a Roma. Mi spieghi la tua scelta?
Quando sono entrato nel Partito Democratico, ho giurato a me stesso che vi avrei portato il mio DNA laico e libertario, nel tentativo di lavorare dall’interno per fare del Partito Democratico il partito che aspettiamo da due anni, dalla sua costituzione. Un partito in cui si sia capaci di discutere e di decidere e, una volta deciso, di passare all’azione senza continui distinguo, paletti e veti incrociati. Un partito esemplare che pratichi le cose che dice, che si assuma la responsabilità di quello che propone, che sia riformista prima di tutto di se stesso, che lavori ad una idea di società.
La mozione congressuale scritta da Ignazio Marino mi calza a pennello, come un abito cucito su misura, e ho accettato la candidatura alla segreteria regionale della Puglia del PD per tenere fede all’impegno che avevo preso con me stesso.
La tua candidatura a segretario del PD della Puglia è un segnale forte. Sei Presidente provinciale dell’Arcigay di Bari. Ai tempi della legge 40 presiedevi il Comitato provinciale per i 4 sì. Nella roccaforte dei dalemiani non era più facile trovare un accordo con loro? E, soprattutto, ti senti più attraente di Paola Binetti?
Vedo che ti sei informata su di me… Certo, avrei avuto un’estate più leggera e riposante se fossi rimasto accoccolato all’ombra di Bersani: il mio Dna radicale ha avuto una botta di orgoglio. Con il passare degli anni, miglioro ed aumentano i miei corteggiatori, maschi e femmine. Quanto alla signora Binetti, conosco bravi specialisti che potrebbero aiutarla a curare la gravissima malattia dalla quale è affetta: l’omofobia. E poi,  se non avessi accettato la candidatura offertami da Paola Concia ed Ignazio Marino, mi sarei sentito tenuto a fondare l’Opus Gay…
 
Ti soddisfa l’impegno del PD in merito ai diritti delle coppie di fatto? Nei giorni scorsi il Tribunale di Trento, dopo quello di Venezia, ha posto la questione della legittimità delle unioni gay alla Corte Costituzionale. Di fronte a questo il PD appare “sonnecchiante”…
Non mi soddisfa per nulla. Il Di.Co. è stato un aborto giuridico. Franceschini e Bersani sul tema non vanno oltre un generico “occorre risolvere il problema”, senza dire come. Marino ha avuto il coraggio di proporre la soluzione della Civil Partnership, strumento giuridico inventato in Germania per superare l’ostracismo verso il matrimonio omosessuale. Io sono per la parità assoluta dei diritti tra coppie gay e non gay: vorrei il matrimonio, e le ordinanze delle Corti di Appello di Venezia e Trento vanno evidentemente in questo senso. Tuttavia, mi rendo conto che – al momento- troppo forte è l’opposizione della quarta camera, la CEI (la terza è Porta a Porta…), e siccome sono un riformista vero, mi dico che la partnership va bene per risolvere il problema nell’immediato. Ma occorre avviare una discussione seria sul punto per arrivare al matrimonio ed alle adozioni da parte dei gay. È un problema di uguaglianza sostanziale tra gli esseri umani.
In conclusione a questa intervista da radicale a radicale, mi chiedo perché tu non sia già iscritto all’Associazione Luca Coscioni?
Sono iscritto al Partito Democratico… non basta?