Che fine sono destinate a fare le severe parole del direttore di Famiglia Cristiana riportate ieri (24 giugno 2009) con ampio risalto da tutta la stampa? In seguito alle notizie sulla vita privata dell’attuale capo del governo, don Antonio Sciortino ha parlato di cristiani «frastornati e amareggiati», ha detto che essi «attendono dalla Chiesa una valutazione etica meno disincantata», ha aggiunto che «la Chiesa non può abdicare alla sua missione e ignorare l’emergenza morale nella vita pubblica del Paese». E ha concluso: «A tutto c’è un limite. Quel limite di decenza è stato superato. Qualcuno ne tragga le debite conseguenze».
È evidente che questo «qualcuno» che deve trarre le conseguenze cui si rivolge il direttore di Famiglia Cristiana sono i vertici della Chiesa italiana, non solo nella persona del presidente della Conferenza episcopale ma in ognuno dei singoli vescovi. È a loro, in quanto successori degli apostoli, che il direttore di Famiglia Cristiana rivolge l’appello di trarre le debite conseguenze, intendendo chiaramente con ciò una netta e pubblica condanna dei comportamenti dell’attuale capo del governo per il disprezzo della morale cattolica che essi rivelano. Se Gesù infatti ha detto di non giudicare l’interiorità della persona, ha insegnato altresì che è dovere dei cristiani esprimere un preciso giudizio sul tempo che stanno vivendo. Ecco le sue parole al riguardo: «Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo, ma come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?» (Luca 12,56-57). Non si tratta di giudicare l’attuale capo del governo in quanto uomo, compito che per fortuna, come per ogni altro essere umano, spetta solo a Dio. Si tratta piuttosto di valutare l’incidenza delle sue azioni su questo tempo storico che stiamo vivendo alla luce del grado di giustizia che esse esprimono. Occorre chiedersi però, dicevo, che fine farà la richiesta del direttore di Famiglia Cristiana ai vertici della Chiesa di «giudicare ciò che è giusto». La risposta dipende da quale anima prevarrà nella Chiesa, se quella politica o quella profetica. Non ci possono essere dubbi infatti che, politicamente parlando, alla Chiesa italiana non conviene per nulla prendere le distanze dall’attuale capo del governo. Secondo la realpolitik che ha governato la Chiesa italiana negli ultimi vent’anni, l’attuale capo del governo va considerato un fedele alleato nella battaglia sui cosiddetti valori non negoziabili, soprattutto le questioni bioetiche, ma anche i finanziamenti alle scuole cattoliche, il controllo sugli insegnanti di religione, la salvaguardia della famiglia tradizionale (a sostegno della quale egli non mancò di sfilare durante il rinomato Family Day).
Perché mai la Chiesa dovrebbe rinunciare a un amico così potente e così disponibile? Forse per ritrovarsi con il relativismo etico del centrosinistra giudicato una minaccia per la famiglia tradizionale? Sarebbe un vero e proprio suicidio politico nonché una grandiosa ingenuità, tipica di chi si rifiuta di prendere atto di come va il mondo e di come sono fatti gli uomini per seguire solo astratti idealismi moralistici. Disincanto e freddezza, piuttosto: ecco la ricetta dell’anima politica della Chiesa. Anzi, quanto più l’attuale capo del governo è in difficoltà sul piano morale, tanto più ha bisogno del sostegno della Chiesa: non è evidente? Ne viene che questa è una situazione dalla quale la Chiesa può trarre indubbi vantaggi: non le capisce queste cose quell’ingenuo del direttore di Famiglia Cristiana? Nella millenaria storia della Chiesa ci sono sempre stati personaggi che hanno ragionato così, che hanno valutato non, come vuole Gesù, «ciò che è giusto», ma solo ciò che è conveniente. L’alleanza tra trono e altare ebbe inizio con l’imperatore Teodosio alla fine del IV secolo e non si è mai interrotta, né penso che si interromperà ai nostri giorni, quando sia il trono sia l’altare hanno una grande convenienza all’appoggio reciproco. Quindi lo scenario più probabile è che l’appello di don Sciortino perché la Chiesa si faccia carico dei molti cristiani «frastornati e amareggiati» cada semplicemente nel vuoto. Nessuno prenderà pubblicamente la parola per «giudicare ciò che è giusto». Nella Chiesa però, oltre all’anima politica, esiste anche l’anima profetica. Come insegna l’etimologia, il profeta si contraddistingue per parlare al cospetto di Dio, ovvero, traducendo praticamente il concetto, per non curare i propri interessi. Il profeta ha a cuore qualcosa di più grande di sé, ha a cuore la gloria di Dio, il bene comune, la perfetta giustizia. L’apostolo Paolo a proposito degli uomini scrive che «tutti cercano i propri interessi» (Filippesi 2,21), ma se la Chiesa e il cristianesimo hanno un senso è proprio quello di non cercare come tutti i propri interessi, ma solo la gloria di Dio e il bene degli uomini. Il vero amore infatti, insegna sempre san Paolo, «non cerca il proprio interesse» (1 Corinzi 13,5), cioè non ragiona politicamente, ma conosce la più alta razionalità della profezia.
Chi entra in questa prospettiva intende solo servire la verità, la giustizia, il bene comune, e per questo è nelle condizioni di «giudicare ciò che è giusto», richiamando senza timore i potenti (di destra, di centro o di sinistra, non ha nessuna importanza) che con i loro comportamenti costituiscano esempi negativi per la popolazione, soprattutto per i più giovani. In un mondo nel quale tutti cercano i propri interessi, il compito della Chiesa è mostrare profeticamente la possibilità di un’azione diversa, e la profezia, come insegnano i profeti biblici, non ha timore quando occorre a contrastare i potenti e le loro voglie. C’è stata una stagione nella quale l’anima profetica della Chiesa in Italia era attiva e vivace, vi erano profeti come Primo Mazzolari, Lorenzo Milani, Carlo Carretto, Zeno Saltini, David Maria Turoldo, Ernesto Balducci, Nazareno Fabbretti, Giorgio La Pira, Giuseppe Lazzati, Pietro Scoppola. La tradizione cattolica ha rappresentato qualcosa di grande per questo Paese. Può tornare a rappresentarlo? Forse, ma solo a condizione che i valori cattolici non vengano resi merce di scambio da parte dei vertici della Chiesa e che nella Chiesa si torni a pensare e ad agire profeticamente. Quale linea vincerà, quella politica o quella profetica? Come avviene da molti anni, è molto probabile che, a parte qualche singola voce che ha iniziato a manifestarsi, anche questa volta vincerà l’anima politica con la sua linea accomodante. Nessuno trarrà le conseguenze e l’attuale capo del governo continuerà a contare come sempre sull’appoggio discreto e robusto delle gerarchie ecclesiastiche, alle quali egli non mancherà di corrispondere la debita ricompensa. Una cosa però deve essere chiara: è che le parole della Chiesa, quando in futuro essa pretenderà di parlare in difesa della famiglia, risulteranno a questo punto molto meno credibili, perché se c’è una realtà che esce male dalle rivelazioni sulla vita privata dell’attuale capo del governo è proprio la famiglia nell’accezione cristiana del termine.