RU486, la Roccella sbaglia di grosso

Beatrice Busi

A proposito della difesa d`ufficio della sottosegretaria al Welfare Eugenia Roccella, ospitata domenica scorsa sull`Altro, in seguito al mio articolo del 6 agosto sulla RU486, vale la pena di prenderne in esame le argomentazioni. Roccella, infatti, ha ragione a denunciare il tentativo in atto di «sgombrare le strutture pubbliche dagli aborti e ricondurli al privato femminile». Peccato che il suo obiettivo polemico sia sbagliato. Se la sua intenzione è davvero quella di evitare che l`aborto venga scaricato completamente sulle spalle delle donne, se è davvero convinta che quello chirurgico è meno lungo, più efficace e meno doloroso, anziché occuparsi di rendere l`aborto farmacologico una gara di resistenza ad ostacoli, dedicherebbe il suo impegno istituzionale a sradicare la piaga dell`obiezione di coscienza che ha reso l`aborto sempre più difficoltoso, quando non impraticabile negli ospedali italiani. Alimentando il fenomeno degli aborti clandestini. La seconda questione completamente elusa dalla risposta di Roccella è così banale da rendere imbarazzante il doverla ripetere. E riguarda la proposta di incentivare e potenziare la presenza di mediatrici e mediatori culturali nei consultori, dato l`alto numero di donne migranti che ricorrono all`interruzione volontaria di gravidanza. Stupisce, infatti, che la sottosegretaria ribadisca la "necessità" di evitare l`accesso all`aborto farmacologico alle donne che non hanno "sufficiente competenza linguistica". Anziché, più semplicemente, 
pensare di mettere a disposizione la traduzione in più lingue del foglietto illustrativo dei farmaci. E` davvero sconfortante che un`istituzione "democratica" intenda deliberatamente limitare non solo l`accesso ad un trattamento sanitarioprevisto da una legge dello Stato, ma persino l`accesso all`informazione scientifica. Così come è preoccupante, più in generale, vedere figure istituzionali impegnate a diffondere una cultura del sospetto ai limiti del 
complottismo nei confronti del sapere biomedico e dei suoi organismi decisionali. Se si vuole davvero governare la ricerca scientifica lo si deve fare a monte, non a valle con i divieti e il proibizionismo. Finanziandola non impoverendola. Stimolando il dibattito pubblico, non facendo terrorismo mediatico. Innescando un circolo virtuoso di consultazione e confronto tra scienza e società, non promuovendo una lettura partigiana e selettiva della letteratura scientifica che sa tanto di imposizione di una morale o di interessi univoci. Tutte strutture ideologiche che abbiamo già visto in azione nella discussione attorno alla legge 40 sulla fecondazione assistita. Ancora una volta, a distanza di anni, i corpi delle donne si ritrovano schiacciati tra il tecnoscientismo spinto e la metafisica che sacralizza l`embrione. Di mezzo ci vanno le loro vite e la loro possibilità di scegliere, con l`odiosa aggravante, paternalista o maternalista che sia, che si pretende di farlo in loro nome. La sottosegretaria Roccella dovrebbe ricordarsi di far parte di un governo che sta istituzionalizzando il ruolo delle donne come cortigiane le veline di regime, e che, sempre in nome delle donne, promuove politiche securitarie e razziste pur di non affrontare l`emergenza sociale della violenza in famiglia. Dovrebbe ricordarsi che la "favola dell`aborto facile" viene ogni giorno promossa da chi definisce la RU486 una banalizzazione dell`aborto.. e da chi promuove campagne di colpevolizzazione e criminalizzazione delle donne che 
abortiscono. L`aborto, per le donne, non è mai stato un metodo di contraccezione o di controllo delle nascite. Bensì molto spesso uno strumento di "autodifesa". In una società nella quale la violenza maschile è all`ordine del giorno, nella quale la precarietà è donna, nella quale il carico del lavoro di cura, compresa la responsabilità di una gravidanza, è ancora tutto sulle spalle delle donne, non potrebbe essere altrimenti. Sono questi i temi politici sui quali, ostinatamente, continueremo ad insistere.