Eluana, se a mio figlio dovesse succedere

Maria Teresa Agati


Ho un figlio, unico, che adoro.
Faccio un lavoro che mi porta ad incontrare spesso situazioni gravissime di persone la cui vita è appesa ad un respiratore, ad un apparecchio per la nutrizione, a “macchine” che prendono il posto del corpo per svolgere funzioni che il corpo non è più in grado –per il momento o per sempre- di svolgere. Occhi persi in un orizzonte invisibile, arti contratti in quella posizione strana, asimmetrica, innaturale e tesa che non consente di stare seduti, che è l’immagine stessa della sofferenza.
Da madre, da sempre, ho un retro pensiero che mi accompagna pressoché in ogni momento: se a mio figlio… Se a mio figlio dovesse succedere … io lo vorrei qui con me, nella mia casa: perso ma vivo, da accudire ed amare ad ogni costo, ringraziando in ogni momento le macchine e la scienza che permettono oggi ad un corpo di non sfaldarsi, nonostante le ingiurie subite.
È una convinzione che credevo incrollabile.
In questi giorni la vicenda di Beppino Englaro urla nella mia coscienza. Vorrei allontanare quei frammenti di pensiero che incrinano la mia convinzione, recuperare quella fermezza di giudizio che dovrebbe farmi dire: lui sbaglia, io ho ragione. Ma non ci riesco più.
Questa nostra società, questi strumenti potenti che la scienza e la tecnologia ci mettono a disposizione e che consentono di mantenere le funzioni vitali oltre ogni limite immaginabile solo qualche anno fa ci assegnano responsabilità a cui, probabilmente, non siamo ancora preparati né come singole persone né come collettività.
Devo a questo punto per forza pescare nelle esperienze della mia vita. La mia nonna Albina aveva, tra le varie missioni della sua vita (era rimasta vedova giovanissima, con tre figli da crescere ed un’azienda agricola da mandare avanti, da sola) anche quella di assistere gli infermi, soprattutto i moribondi. Con quella affettuosa crudeltà propria delle donne di una volta che avevano tanto sofferto, mi portava, spesso, con lei per insegnarmi la carità cristiana. Mi è capitato tre volte di essere con lei per accompagnare una persona alla morte. Una era la zia Chiarina, morta giovane lasciando un figlio sordomuto. Ricordo la cantilena del rosario, la pezzuola bagnata sulla fronte e sulle labbra e poi un gesto lieve del pollice sugli occhi, per chiudere le palpebre e la fatidica frase: è andata, seguita dal pianto dei famigliari. Il commento, poi: era una settimana che non riusciva a mandar giù neanche una goccia d’acqua.

Oggi un sondino naso-gastrico o una PEG (introduzione di un composto nutrizionale direttamente nello stomaco attraverso uno stoma) avrebbe, probabilmente, potuto mantenere in vita Chiarina a tempo indeterminato. Non so se le avrebbe permesso di vivere, certo non le avrebbe permesso di morire alla sua scadenza naturale.
Ecco, oggi nei miei pensieri Beppino Englaro non è colui che si batte per non permettere a sua figlia di vivere, ma per permetterle di morire, dignitosamente.
Ho provato ad analizzare i motivi di questa sorta di assoluzione che, nonostante le mie personali convinzioni, si va facendo sempre più strada nella mia coscienza.
Sono spaventata dalla enorme responsabilità che viene assegnata ai famigliari: la morte non è più un avvenimento sempre ineluttabile da subire, impotenti, ma, in alcuni casi, può essere una decisione da prendere; la vita non è più un dato certo, naturale, inconfutabile – non si è più o vivi o morti- ma, in alcuni casi, è discutibile. Quando è discutibile, non si sa se spetti a qualcuno stabilire se quella sia una vita che vale la pena di essere vissuta comunque: se è sufficiente avere espresso, una o più volte, in contesti diversi, un’opinione in merito (io non vorrei mai vivere così…).
La nostra società italiana non ci offre regole sicure in cui rifugiarci, ma ci lascia soli o, peggio, ci offre riferimenti ideologici. Se pensi giallo, allora è giusto così, ma se pensi blu è giusta, invece, un’altra cosa.

La prima reazione, quando sento il nome di Eluana Englaro è di tapparmi orecchie, tanto è forte e frequente la puzza di inquinamento ideologico. Ho la sensazione che Beppino Englaro desideri, semplicemente, di compiere il gesto della mia nonna Albina, chiudere le palpebre di quella sua amata e sfortunata figlia e dire “se ne è andata” per poi, finalmente, piangerla.
Rispetto chi non ha certezze, rispetto le suore che l’hanno accudita ed, anch’esse, amata che dicono: “lasciatecela qui, la curiamo noi…” ma ho la ripugnante sensazione che dietro molti di coloro che si agitano in maniera scomposta per “salvare la vita di Eluana” facendo apparire tutti coloro che hanno dubbi come assassini ci sia ipocrisia, ci siano fini reconditi. Se così non fosse, questa battaglia per la vita sempre e comunque dovrebbe realizzare un movimento straordinario ed incessante, a difesa di tutte le vite e contro tutte le morti colpevoli – per fame, per sfruttamento, per guerra, per cattiverie infinite: invece, dov’è questo movimento? Solo Eluana Englaro va difesa dalla volontà di un padre che chiede (soltanto?) di permetterle di morire?
Sono consapevole del fatto che Beppino Englaro non ha scelto il silenzio su questa vicenda ma l’ha portata davanti agli occhi del mondo e devo riconoscere che ne sono stata talvolta infastidita. Mi è parso di intravedere una sorta di protagonismo inopportuno, una voglia di ribalta che mal si accompagna al silenzio doloroso con cui sarebbe forse conveniente vivere drammi così struggenti e privati. Oggi però ho pensato, per la prima volta, che egli abbia cercato disperatamente di confrontarsi col mondo per non restare solo davanti a questa figlia che è in vita ma non vive, che non ha più (e non avrà più – lui lo sa perché glielo hanno ripetuto in tanti, tante volte in questi lunghissimi anni) stati mentali e che (lui lo sente, ne è convinto) col suo essere in vita senza esistere gli chiede silenziosamente di accompagnarla verso la pace vera.

Sto, dentro di me, sempre più assolvendo Beppino perché comincio a capire come mai non ha voluto stare da solo, trovare un modo silenzioso e “personale” per staccare la spina. Davanti all’enorme potere che ci dà la scienza (ci rende così potenti da permetterci talvolta di non lasciar morire senza però concederci il potere di dare una vera riconoscibile vita), davanti al peso insostenibile di una decisione “sovrumana” egli si è rifugiato nei ricordi della figlia trovando sprazzi di affermazioni che lo confortassero in quelle sue percezioni, in quel suo sentire e, poi, egli ha chiesto il giudizio degli uomini.
Ma quando il giudizio umano (e legale) lo ha confortato nella sua convinzione si è scatenato l’inferno.

C’è una sorta di sapienza feroce nei termini spaventosi che sono stati usati: uccidere, ammazzare, assassinio; nello sbandierare senza pudore intimità private, femminili (è viva, ha le mestruazioni); in alcune luride (non riesco a trovare altro idoneo aggettivo) immagini che sono state evocate: ”…potrebbe anche fare un figlio…” (che, detto in altri termini, vuol dire: non ha alcuna interazione cosciente col mondo esterno, con le persone che la seguono; non è in grado di amare, ma … potrebbe concepire un figlio e portare a termine una gravidanza…). In questa certezza mistificante capace di trasformare una macchina biologicamente funzionante in vita.
È questo uso scientificamente spregiudicato di frasi ad effetto e di immagini scioccanti, questa ricerca scomposta di ogni mezzo coerente o insensato per impedire quello che un giudizio “legale” ha concesso, questo sfruttare un dramma personale per mostrare ancora una volta i muscoli ed imporre – sopra tutto ed a tutti – il proprio volere ed il proprio pensiero sino a dichiarare che, nel caso in cui non fosse possibile con i mezzi ora costituzionalmente legittimi, occorrerà “arrivare a quelle riforme della Costituzione che sono necessarie perché la Carta è una legge fatta molti anni fa sotto l’influenza della fine di una dittatura e con la presenza al tavolo di forze ideologizzate che hanno guardato alla Costituzione russa come a un modello da cui prendere molte indicazioni…” che mi indigna e mi fa ghiacciare il sangue nelle vene.
Come sperare che da queste persone, da questi atteggiamenti, da questo modo di affrontare un tema così delicato e così intimamente rilevante per ciascuno di noi possano scaturire quelle riflessioni, quelle considerazioni, quel confronto autentico, profondo e rispettoso capaci di produrre riferimenti legislativi GIUSTI, tali da costituire davvero uno spartiacque credibile tra quello che è giusto fare e quello che, invece, è ingiusto?
Io in questi giorni ho perso la speranza che dal gruppo che con larga maggioranza governa il mio paese possa arrivare, su questo tema, un GIUSTO orientamento.

Del resto, questo gruppo che tanto urla in difesa di una vita sospesa come quella di Eluana è lo stesso gruppo che impone ai medici di denunciare, anziché soccorrere e curare, uomini, donne, bambini sfortunati che hanno abbandonato per i più diversi motivi i loro paesi ed ora sono qui da noi, poveri, “ultimi”, sofferenti, ammalati e chiedono di essere accuditi, curati perché vogliono, disperatamente ed inequivocabilmente, vivere. Imporre la trasformazione di un luogo di soccorso e cura in un luogo di denuncia “selettiva” (badate bene, non di denuncia di ogni persona ogni qualvolta si venga a conoscenza che abbia commesso un reato, ma solo delle persone straniere che si presumono irregolari) non mi sembra rispondere alla stessa visione del mondo e della pietas che dovrebbe ispirare chi tanto si agita in nome di Eluana. C’è qualcosa che proprio non mi torna.
Suona il telefono, rispondo. E’ mio figlio, da New York, dove vive da qualche tempo con la moglie.
Mi chiede conto di questa storia del presidente del consiglio che è in contrasto con il presidente della repubblica. Mi dice: “Ma siete matti? Ma cos’è questa storia che Berlusconi vuol cambiare la Costituzione, perché non gli permette di fare quello che vuole lui? Ma voi, state tutti zitti? Ma sai che figura di … ci sto facendo con i miei colleghi?”.
Gli voglio un bene dell’anima e, se possibile, lo adoro ancora di più.

Sono sempre più convinta che…se dovesse succedere… io lo vorrei qui con me, comunque, “perso, ma vivo”, attaccato a qualsiasi macchina possibile… Mi chiedo, però, oggi, dopo la vicenda Englaro, cosa vorrebbe lui.
Adesso so che io vorrei fortemente una legge seria, onesta, giusta, sul testamento biologico, a cui aggrapparmi per decidere.
Finalmente so anche che oggi io non ho alcun diritto di giudicare il papà Beppino Englaro che, in solitudine, in assenza di giuste leggi umane, davanti ad un potere smisurato che permette all’uomo di modificare il naturale svolgimento della vita, cerca disperatamente di fare quello che lui crede sia il bene per la sua Eluana.

Per questo sono grata a quei gruppi politici che da sempre combattono una faticosa quanto doverosa battaglia sia in difesa delle vite violate dalla fame, dalle malattie, dalle guerre sia per costruire una giusta, onesta, seria legge a cui i cittadini italiani possano con fiducia rapportarsi, se mai dovessero trovarsi in una situazione così dolorosa e difficile come quella che da 17 anni sta vivendo Peppino Englaro.