Eluana, il tar boccia il no di Formigoni

Piero Colaprico

Nullo il divieto di staccare la spina in Lombardia. Il governatore: strabiliante, ma non mi arrendo
MILANO – Si è incenerito ieri, grazie al Tar, il documento ufficiale con il rifiuto della Regione Lombardia a rispettare la volontà degli Englaro. La decisione della Corte d’appello, che risale ormai allo scorso luglio (mezzo anno fa, passa il tempo), non solo era c restava valida, ma è diventata un’autostrada: Eluana Englaro, 38 anni, da oltre diciassette in stato vegetativo, può, attraverso il padre tutore, rifiutare le cure ed essere lasciata spirare e non c’è niente a bloccare quest’ultimo viaggio.

Roberto Formigoni, governatore pdl della Lombardia, ci mette un po’ a reagire e, per un affabulatore come lui, si tratta di una reazione fiacca: «È strabiliante che si pretenda di deliberare sulla vita e la morte di una persona per via amministrativa. Decideremo cosa fare in giunta, forse faremo ricorso al Consiglio di Stato, forse ci sono altre strade. Ma vogliamo difendere quelle che sono le nostre profonde convinzioni giuridiche, morali e legislative. La materia assicura – è molto più complessa di quanto la sentenza faccia intendere». Sarà pure una materia complessa, ma questa sentenza 214 (presidente Domenico Giordano, con Piero De Berardinis e Dario Simeoli) arriva alla fine del pronunciamento di tribunali, Cassazione, Corte costituzionale, corte Europea, tutti omogenei nel dar ragione agli Englaro. E in sette pagine (www.repubblica.it) ricapitola alcuni concetti cardine che infilzano la Regione. Innanzitutto, viene ricordato (a tutti) che in medicina e in Italia vale il principio del «consenso informato», e cioè esiste un rapporto medico paziente in cui quest’ultimo può scegliere sino a che punto farsi mettere le mani addosso e infilare cannucce nelle carni.

«Il rifiuto delle terapie mediche, anche quando conduca alla morte», a differenza di quanto affermava anche ieri il cardinal Angelo Bagnasco, «non può essere scambiato per un’ipotesi di eutanasia». Si tratta della scelta del malato affinché «la malattia segua il suo corso naturale». «Naturale»: è questo un aggettivo che sembra estraneo alla politica di teodem e teocon, ma è stato ripetuto per anni da papà Beppino Englaro. «Mia figlia – sono le sue parole – è morta la notte dell’incidente, lo stato vegetativo in cui versa non esiste in natura, Eluana deve riprendere al più presto il percorso naturale della morte bloccato dai medici». I giudici del Tar – dopo accertamenti clinici e biografici, dopo analisi e ricorsi – non hanno accolto soltanto le richieste degli avvocati Vittorio Angiolini e Franca Alessio, ma sembrano davvero raggiungere alcune delle certezze del padre. Per di più, «dall’ottobre 2007 ad oggi il Parlamento – ricorda il Tar – non ha assunto alcuna iniziativa per sconfessare il convincimento espresso dalla Suprema corte di cassazione»: a parte i due ricorsi per conflitto d’attribuzione, anche questi già a suo tempo liquidati (per insussistenza). Anche la famosa lettera del ministro del Welfare, che aveva scoraggiato una clinica di Udine, già pronta ad accogliere Eluana, e invece incoraggiato la Regione Lombardia nel suo atteggiamento di chiusura, è «inidonea» a intaccare il diritto degli Englaro.

La convenzione Onu sui diritti dei disabili «non contraddice affatto afferma il Tar – il diritto di rifiuto delle cure da parte dell’incapace». La lezione impartita dai giudici di via Conservatorio continua: non esistono nemmeno «ragioni attinenti l’obiezione di coscienza». Resta perciò «ferma la necessità che la struttura ospedaliera garantisca doverosità del "satisfacere officio"», vale a dire che i funzionari regionali devono trovare e indicare una struttura. Senza opporsi, perché le sentenze sono legge. E perché al «diritto di rifiutare le cure» corrisponde un preciso dovere «nei confronti di chiunque intrattenga con l’ammalato il rapporto di cura, non importa se operante all’interno di una struttura sanitaria pubblica o privata». La conseguenza di queste indicazioni del Tar potrebbe essere paradossale: papà e curatrice speciale potrebbero chiedere la sospensione delle cure anche alla clinica cattolica delle suore Misericordine. Non lo faranno mai, ma in teoria possono: e tutto questo anche grazie alle mosse – pirotecniche in politica, ma a salve nella realtà – che sono state tentate da Welfare e Regione.
Diritto assoluto Al diritto costituzionale di rifiutare le cure è un diritto di libertà assoluto, il cui dovere di rispetto si impone erga omnes, nei confronti di chiunque intrattenga col malato il rapporto di cura, non importa se al l’interno di una struttura sanitaria pubblica o privata»
Doveri del medico «La manifestazione di tale consapevole rifiuto rende quindi doverosa la sospensione di mezzi terapeutici il cui impiego non dia alcuna speranza di uscita dallo stato vegetativo e non corrisponda alla visione di vita dignitosa che è propria del soggetto»
Nessuna eutanasia «Tale obbligo giuridico sussiste anche ove si tratti di sostegno vitale il cui rifiuto conduca alla morte, giacché tale ipotesi non costituisce, secondo il nostro ordinamento, una forma di eutanasia bensì la scelta insindacabile del malato»
Ministero inidoneo La circolare del ministro Sacconi in cui si prospettavano sanzioni per le cliniche che avessero staccato la spina a Eluana, «è autorevole ma inidonea, secondo i principi generali sulle fonti, ad intaccare il quadro del diritto oggettivo»