Il confine della vita e la difesa della donazione degli organi

di Margherita D’Avac
La Prof. Lucetta Scaraffia, nell’articolo apparso sull’"Osservatore Romano", solleva dubbi sul criterio che definisce la morte dell’uomo come indicato quarant’anni fa dal "Rapporto Harward", e non più basato su quello tradizionale della cessazione dell’attività cardio-respiratoria. Trattasi di un criterio di morte, ampiamente accettato a livello internazionale, che vede il cervello come un centro coordinatore e unificatore dell’organismo umano, di modo che la totale necrosi di tale organo segna il punto di non ritorno, il momento della morte.
Ciò a prescindere dalla possibilità di mantenere per qualche tempo sospesa la vita corporea attraverso assistenza medico-artificiale per consentire l’espianto degli organi. Sebbene presentato come un problema scientifico, il passaggio dalla definizione tradizionale di morte a quella successiva di "morte cerebrale totale" è una scelta anche etica, oltre che dettata da ragioni pratiche. E una questione certamente etica quella di rispondere alle domande: "Chi è l’uomo? Che cosa è la vita umana? Quali comportamenti sono giustificabili verso soggetti entrati nel processo di morte?". Dal punto di vista pratico, si è voluto stabilire in via primaria la possibilità di interrompere le terapie che mantenevano i coniatosi irreversibili tra la vita e la morte, senza incorrere nel rischio di commettere eutanasia attiva o passiva e di esporsi così alla riprovazione etica e a possibili azioni penali e civili. La seconda finalità è stata quella di reperire organi in buon stato di conservazione considerando terminata anticipatamente la vita di un uomo.
La Chiesa cattolica attraverso la Pontificia Accademia delle Scienze (1989) giunse alla conclusione che la nuova definizione di morte in termini cerebrali fosse condivisibile e che fosse eticamente auspicabile e conforme alla carità cristiana incoraggiare la donazione degli organi su tali premesse cliniche. Tuttavia fin dagli anni settanta non sono mancate critiche (Hans Jonas) che evidenziavano come la definizione di morte cerebrale fosse una finzione con la quale si pretendeva di aggirare l’ostacolo dell’eutanasia dichiarando il paziente in quelle condizioni già morto.
Queste critiche, inizialmente ignorate, hanno ricevuto crescente attenzione a fronte del fatto che andavano aumentando i dati scientifici che ponevano in discussione i criteri neurologici di morte. Sempre di più si sono fatte sentire quelle voci di dissenso che rifiutano l’identificazione della morte cerebrale con la morte di fatto e che considerano ogni prelievo di organi da una persona cerebralmente morta equivalente ad un omicidio. Se non si dà torto a chi sostiene che la scelta di assumere la morte cerebrale come sigillo della irreversibilità del processo del morire non è neutra dal punto di vista etico, è difficile ritenere che il pensiero cattolico, che muove dalla posizione della sacralità della vita, possa rimanere insensibile a tali problematiche senza. riaprire una riflessione sul punto. Ed anche da una posizione laica, la sola esistenza di un semplice dubbio in merito alla corretta individuazione del momento della morte, il mero sospetto che il prelievo degli organi dal morto cerebrale comporti la eliminazione di un essere umano vivente potrebbe implicare il dovere etico e giuridico di ripensare gran parte della vicenda che riguarda il trapianto di organi. Forse è sbagliato continuare a giustificare la legittimità dei trapianti attraverso una pretesa scientifica della morte. Forse è necessario domandarsi se sia più conforme a dignità concepire l’aggressione al corpo morente come legittima aggressione al corpo di un uomo per suo consenso. Forse si potrebbe e si dovrebbe dire che la consapevole decisione di donare i propri organi dopo la morte cerebrale totale vada ritenuta valida in forza di un grande gesto di solidarietà sociale. Ma ne consegue anche che gli ordinamenti giuridici dovrebbero comunque prevedere l’assenso esplicito del paziente prima della sua morte cerebrale al futuro trattamento respiratorio allo scopo di donare un organo in buono stato. Discutibile l’utilizzo di quei criteri presuntivi del consenso (silenzio/assenso) fatti propri dalla nostra come da molte altre legislazioni.