La tribuna dei Teocon

di Adriano Prosperi
pp"A ciascuno il suo". Il motto dell’Osservatore Romano significa forse che ognuno può scegliere quello che preferisce nell’offerta di notizie e commenti del giornale vaticano? Così si direbbe, a giudicare dalla pubblicazione di un articolo che mette in discussione il criterio della morte cerebrale.
A quanto pare, la Santa Sede che ne è la proprietaria lascia al direttore di turno la responsabilità delle sue scelte, né più né meno di quel che accade normalmente nella grande stampa di informazione. Del resto, nella nostra epoca di crisi delle ideologie è già accaduto di veder sbiadire in altri quotidiani le certezze precostituite diverità offerte come chiavi di lettura dei fatti del giorno. Ma sarebbe bene che le autorità vaticane lo spiegassero con chiarezza. Se il direttore di quel quotidiano decide di ospitare e di dare risalto all’opinione di chi, forte di una sua rispettabile convinzione religiosa più che di una specifica autorità in materia, revoca in dubbio il criterio fondamentale su cui opera la medicina dei trapianti, non per questo i medici, gli anestesisti e gli infermieri cattolici debbono correre a fare obbiezione di coscienza. E così? Come ha ricordato su Repubblica il professor Ignazio Marino, la cosa è importante per chi ha la vita appesa al filo di un trapianto di organi. E qui che si svolgono quotidianamente drammi silenziosi e si combattono battaglie in difesa non della vita in generale – come quelle sulle questioni dell’aborto e dell’eutanasia – ma di precise esistenze individuali. C’è, poi, un problema più generale di scelte della Chiesa che si è clamorosamente profilato in questo ultimo episodio ma che avevamo già intravisto nella precedente questione dei giudizi di Famiglia cristiana sulla politica del governo attuale: la contraddizione sempre più evidente tra l’alleanza strumentale della Chiesa con le truppe di sfondamento dei "teocon" nella battaglia coi valori della democrazialaica e quella che costituisce la sostanza civile e storica di tanta presenza cattolica nel nostro mondo. Bisognerà seguire con attenzione questa vicenda, aspetto inedito della situazione per certi aspetti grottesca dell’ Italia p olitica attuale: un paese dove l’opposizione di sinistra è semplicemente scomparsa e valori della solidarietà sociale si affidano direttamente all’ispirazione dei singoli e al fiume sotterraneo del volontariato.
Tuttavia l’episodio mostra indirettamente l’urgenza di un problema che richiede l’attenzione del potere legislativo: quello del testamento biologico. Materia delicata, delicatissima. Il testamento è stato e resta un documento importante per quanto riguarda le disposizioni sui beni di fortuna: intere categorie professionali vivono in grazia di quel documento, per interpretarlo, contestarlo, attuarlo. L’esperienza quotidiana e la letteratura d’ogni paese insegnano che i testamenti si fanno e si disfano, che le ultime volontà possono sempre diventare le penultime. L’incertezza degli umori, la variabilità degli stati d’animo e degli affetti dominano nell’operazione del disporre dei propri beni. Anche la vita è un bene: un bene supremo, si dice. Per tutti, si pretende. E questo non è vero. "A me la vita è male": parole di Giacomo Leopardi. Così vere e così suggestive che nemmeno il censore d’ufficio della Sacra Congregazione dell’Indice se la sentì di condannare quel suddito degli Stati Pontifici che aveva così radicalmente divorziato dalla religione obbligatoria. Quanti oggi nel mondo sottoscriverebbero quelle parole? meglio non saperlo. Ma in cambio gli ottimisti per professione, i credenti nel valore obbligatorio della vita anche a dispetto dei sentimenti e delle volontà dei viventi abbassino almeno la voce. Un fatto è certo: l’avanzata della legge tocca oggi l’ultimo dei beni disponibili, la vita L’inarrestabile processo di giuridicizzazione di ogni aspetto dell’esistenza bussa a questa ultima porta. Bisognerà che ci si decida ad aprirla. Certo, qui si aprirà la lotta fra chi chiede una legge e chi non la vuole. Fino a non molto fa, la linea divisoria passava tra i credenti in un Dio provvedente e benevolo, erogatore di un’altra vita e chi non condivideva quella fede. Ai non credenti l’invito degli uomini della religione è stato fatto rovesciando l’atto di nascita della civiltà moderna e chiedendo di accettare in mancanza di meglio una regola di vita fondata sull’esistenza di Dio: come ipotesi, come scommessa. Ma da quella scommessa metafisica che piaceva a Pasca] la struttura di potere che il clero cattolico ha costruito su fondamenta di diritto romano ha ricavato la conseguenza di imporre anche ai cittadini di uno Stato moderno la sudditanza alla loro legge. Da qui gli inviti alla disobbedienza alle leggi dello Stato, la difesa delle cosiddette obiezioni di coscienza di medici e farmacisti.
E tuttavia anche per la religione cattolica bisognerà avere presenti i lati positivi dell’opera sua e dell’influsso che esercita specialmente in Italia dove è radicata capillarmente e svolge compiti fondamentali di assistenza e di protezione: anche di cultura e di presenza civile, supplendo a istituzioni assenti e portando parole coraggiose e ricche di echi, come ha mostrato di saper fare di recente Famiglia cristiana. La resistenza alle sbrigative soluzioni legali di problemi delicatissimi di vita e di morte merita sicuramente attenzione. Anche per il "testamento biologico", come già per la legge sull’aborto terapeutico, si tratta di averne ben presenti i limiti.
Come ogni altro bene, più di ogni altro bene, la vita subisce le fluttuazioni del mercato ed è esposta alla legge della domanda e dell’offerta. Anche alla legge della propensione al rischio del padrone di quel bene: da giovani si è pronti a regalarlo o a disfarsene con levità di spirito, da vecchi lo si risparmia. L’avarizia del vecchio che resiste alla natura con tutti i mezzi è stata raccontata in uno tra i più belli dei racconti di Cechov, "Una storia noiosa". Quando resta poco del giorno, ogni istante diventa prezioso; quando si sa che è il nostro turno di andarcene, si spia con ansia ogni goccia d’olio nella lampada. Se ne ricava una banalissima conclusione: che un testamento vale per il momento in cui lo si detta anche se è pensato per decidere qualcosa che avverrà in futuro. E molto probabile che l’ultimo fremito di vita del malato terminale sarà di rimpianto e di attaccamento estremo a quello che in piena salute aveva chiesto di essere aiutato ad abbandonare.
Tenendo conto di questo, la legge non potrà andare oltre la sua funzione che è quella di essere fatta per gli individui: dunque per tutelarne i diritti, non per sottometterli ad altra e superiore potestà. Se questo è chiaro, allora si può certamente trovare una formula giuridica adeguata. Che vi si arrivi è necessario, anzi è gran tempo che lo si faccia. Lo impone la necessità di tutelare ciascuno di noi dalla prepotenza di regole che privano l’individuo della disponibilità di ciò che solo è suo, il tempo di vivere e di morire. Nessuna delega incontrollata a terzi, nessun diritto di mettere le mani sui nostri corpi ancora viventi giocando con le parole di una legge. Ma anche la fine di quegli osceni clamori che abbiamo tante volte ascoltato sui casi di chi lucidamente chiedeva di essere aiutato a concludere una vita intollerabile. E soprattutto si dovrà incoraggiare lo sviluppo di quelle forme di assistenza che esistono per rendere meno intollerabili le malattie che tolgono memoria e conoscenza, che rendono l’essere umano una minaccia per sé e per chi vive con lui; cure palliative, incremento dei luoghi dove si possa terminare in modo umano una vita che se ne va e andare incontro a una morte annunciata. Tutto questo significa spostare l’attenzione alla carenza vera dell’Italia: le istituzioni dell’assistenza. É alla medicina come sistema di tecniche e di culture che si rivolge oggi chi ha realmente bisogno di tutelare vita e morte sue e di chi da lui dipende. Gli altri parlano e gridano da pulpiti vistosi. I medici sanno, operano, fanno le cose che possono e sanno fare. Ma con quali mezzi? E combattendo con quali pregiudizi, propri e altrui? In quali contesti? Perché è evidente che altro è l’ospedale locale altra è la grande clinica privata, altro è il Sud e altro il Nord del mondo, non della sola Italia, visto che i soli confini che l’emigrazione in cerca di ospedali oggi conosce sono quelli della ricchezza individuale e del mondo intero. Così come ogni altra forma di emigrazione.