Un testamento per la vita

di Domenico Rosati
Un via libera cattolico al testamento biologico (o come altro si converrà di chiamarlo) è in corso di predisposizione. Il «caso Englaro» è presentato come l’antefatto che rende necessaria una legge prima ritenuta inutile se non dannosa.

La chiave d’accesso è quella del «male minore», un criterio che salva la non negoziabilità dei principi ma rende possibile in pratica il salto di ostacoli altrimenti insuperabili. Che a tanto si dovesse giungere era chiaro dal momento in cui il Senato ha sollévato davanti alla Corte Costituzionale il conflitto di attribuzione sul punto se toccasse al magistrato «legiferare» in mancanza di legge o se invece la competenza dovesse essere riservata al legislatore. Era stata l’opposizione a trarre le conclusioni più logiche: se non si vuole che il magistrato si sostituisca al legislatore, sia quest’ultimo a provvedere. Come ha stabilito, nel caso, un’apposita mozione.

É guardando a questo scenario che le ultime dichiarazioni registrate, in particolare quelle di monsignor Fisichella, responsabile della Pontificia accademia per la vita, possono essere lette come passi di,avvicinamento ad una scelta che fino a ieri sembrava impraticabile. In effetti l’orientamento in campo cattolico non era mai stato univoco. Già nella passata legislatura, ad esempio, tra i disegni di legge sul testamento biologico depositati in Senato, ce n’era uno dell’onorevole Binetti sovrapponibile, per l’impianto generale e per molti aspetti, ad altre proposte di diversa provenienza. Sull’insieme aveva lavorato con grande impegno il senatore Marino, anch’egli di matrice cattolica, senza però raggiungere il consenso indispensabile.

Nel corso del dibattito, anzi, la posizione ufficiale del mondo cattolico, in coincidenza con il caso Welby (ed anche in fase prelettorale) sì era irrigidita fino al punto da escludere che un intervento legislativo potesse aver corso. Si manifestava anzi una critica irriducibile alla «biopolitica» come prassi manipolativa della vita per trarne la conclusione che fosse da escludere che si potesse in qualche modo incidere su tale valore assoluto ed intangibile. Né migliore accoglienza avevano avuto finora le iniziative della legislatura in corso.

Ora un esponente parlamentare qualificato per estrazione religiosa, come Maurizio Lupi, nel dichiararsi favorevole ad una misura legislativa ammette che fino a qualche mese fa ciò sarebbe stato inconcepibile per uno come lui; ed auspica anzi che possa realizzarsi una convergenza su una piattaforma normativa che, escludendo l’eutanasia, descriva un percorso di accompagnamento delle fasi terminali dell’esistenza tenendo conto anche delle volontà personali espresse e debitamente certificate in precedenza.

Lo spazio è quello di una mediazione tra principio (immutabile) e norma (adattabile alle circostanze): un classico dell’etica cristiana verificabile per molte materie e per molte variazioni sul tema in epoche e situazioni molteplici. La guerra, ad esempio, è sempre da condannare, ma quando si verifica bisogna escogitare il modo di ridurne i danni. Il diritto umanitario di guerra, con tutte le sue glorie ed ambiguità, è nato da questo modo di ragionare. Dire mediazione in un contesto che si qui l’ha sempre ripudiata come una contaminazione non sarà tuttavia questione indolore. Anche se non c’è visibilità di un dibattito in proposito, esiste un vasto luogo cattolico che su questo problema come su altri, vedi la procreazione assistita, considera come un’abiura ogni scostamento dall’intransigenza fondamentale.

Ed è con le figure di questo luogo che dovranno misurarsi quanti, in sede politica ed ecclesiale, vorranno operare nello scenario che va delineandosi. Non sarà facile, insomma, far passare uno schema «mediato» che conceda un grande spazio alle cure palliative ed alle misure di accompagnamento cliniche e familiari dei pazienti in fase terminale, che marchi con decisione il rifiuto di ogni pratica eutanasia ma che, al dunque, riconosca la volontà di chi esprime, nelle forme e nei tempi debiti, il desiderio di morire in pace. Come finirà? A livello parlamentare, per ora, l’unico problema reale verte sull’idratazione ed alimentazione: se siano o meno da considerare (e quando e come) manifestazioni di accanimento terapeutico o se siano comunque doverose per il medico. A livello di dibattito pubblico c’è ancora molto da approfondire. L’importante è che una ricerca onesta possa svilupparsi in modo da lasciare, dentro leggi certe, lo spazio indispensabile per il buon senso e l’umana pietà.