Nel 2001 Adriano Celentano dichiarò, durante una trasmissione televisiva, di non credere al criterio di morte cerebrale. Nei giorni successivi i medici dei reparti di terapia intensiva degli ospedali di tutta Italia dovettero constatare una brusca caduta nella donazione degli organi. La cosa fu talmente clamorosa che è rimasta nella memoria degli addetti ai lavori con il nome di «effetto Celentano».
«Nei giorni successivo alla trasmissione – ricorda Mario Riccio, l’anestesista medico di Welby – mi trovai a chiedere al parente di un paziente l’autorizzazione per l’espianto degli organi. Il parente rifiutò dicendomi: ma ha sentito Celentano? L’effetto Celentano produsse nel giro di una settimana un crollo nelle donazioni che si tradusse nella morte di molte persone». Per ovviare al problema dovettero scendere in campo Umberto Veronesi, Renato Dulbecco e altri nomi della scienza italiana spiegando, dagli schermi televisivi, che la morte cerebrale è un criterio condiviso dai medici di tutto il mondo.
«Un effetto simile potrebbe essere prodotto dall’editoriale dell’Osservatore Romano», aggiunge Riccio. «Bisogna considerare che c’è moltissima gente che ha bisogno di un organo, e molti di essi non possono aspettare». Ci sono due tipi di trapianti: quelli per i quali si può aspettare e quelli d’urgenza. Tra i primi c’è il trapianto di reni: il paziente può aspettare anche anni perché nel frattempo fa la dialisi. Tra i secondi ci sono una buona parte dei trapianti di cuore e di fegato. Ad esempio, un paziente con un’epatite fulminante che aspetta un trapianto di fegato non può aspettare oltre 48 ore. Un paziente con alcune patologie cardiache ha una settimana di tempo prima che il suo cuore ceda. In tutti questi casi un tentennamento dell’opinione pubblica che duri anche solo qualche giorno può essere fatale. Come tutti sanno, del resto, la domanda di organi supera di molto l’offerta. In Italia si fanno oltre 3000 trapianti l’anno.
La metà sono trapianti di rene, circa 1000 di fegato, 300 di cuore, 100 di polmone e solo una cifra esigua di pancreas e intestino. Ma i trapianti dovrebbero essere molti di più: le liste d’attesa sono lunghe. Secondo i dati più recenti, 9400 pazienti italiani oggi aspettano un organo. Quelli che hanno bisogno di un rene sono 6813 e aspettano in media 3,1 anni. Per il fegato sono il lista d’attesa 1469 pazienti e attendo- no in media 1,9 anni. Per il cuore ci sono 864 pazienti e la loro attesa è di 2,5 anni. Eppure, il criterio di morte cerebrale è stato stabilito quarant’anni fa e da allora non è stato messo in discussione.
«Anche la Chiesa ha sposato il criterio di morte cerebrale», continua Riccio. Prima di quello spartiacque che fu il «rapporto di Harvard», la morte veniva diagnosticata quando il cuore smetteva di battere. Il 5 agosto 1968 la rivista scientifica JAMA pubblicò una ricerca della Harvard Medical School nella quale si riconosceva come alcuni casi di coma, la perdita irreversibile di qualsiasi funzionalità cerebrale e l’impossibilità di una respirazione autonoma fossero i nuovi criteri in grado di spostare il concetto di morte dal cuore al cervello. Un evento che ebbe un’importanza storica per i trapianti d’organo.
Gli organi, infatti, possono essere prelevati solo da un cadavere «a cuore battente»: se l’organo, che sia cuore, polmone o fegato, non viene irrorato dal sangue, muore e diventa inservibile. «Del resto, la morte cerebrale è uno stato transitorio che dura un periodo di tempo limitato e si conclude inevitabilmente con l’arresto cardiaco», spiega Riccio. A differenza dalla morte corticale, la morte cerebrale comporta il fatto che la persona non respira più autonomamente e perché il suo cuore batta è spesso necessario l’apporto dei farmaci. «Oggi le regole in Italia per l’accertamento di morte cerebrale sono molto rigide. Ad esempio, dobbiamo tenere il soggetto adulto in osservazione per 6 ore prima di dichiararne la morte cerebrale. In altri paesi, ad esempio l’Inghilterra, i criteri sono meno stretti».
Le linee guida del resto sono in continua evoluzione: nell’aprile scorso un decreto ha aggiornato i criteri per l’accertamento della morte cerebrale. Tra i nuovi obiettivi c’è quello di rendere possibile l’esecuzione di tecniche strumentali diagnostiche permesse dell’odierno sviluppo tecnologico, inesistenti all’epoca del decreto originale. Ma il tema è ancora molto delicato tanto che la famosa legge del 2001 riguardo il consenso al prelievo (la famosa regola del silenzio assenso) è bloccata. I decreti attuativi non sono ancora operativi e oggi l’assenso al prelievo degli organi (o, per maggiore precisione, la dichiarazione di non opposizione al prelievo) può essere data solo da un parente di chi si trova nello stato di morte cerebrale.