Sulla fine della vita il Vaticano provoca

di Matteo Bartocci
Transplant Games 2008(Immagine fornita da Flickr)

ROMA – Della questione della fine della vita se ne occuperà sicuramente il Comitato nazionale di bioetica. Nella riunione del 26 settembre chiederò di inserire l’argomento in agenda in modo da avere un pronunciamento chiaro su un tema così rilevante e che riguarda tanti casi concreti». Francesco Paolo Casavola, presidente emerito della Corte costituzionale, cattolico e guida del gruppo di consulenti del governo italiano sulle materie «eticamente sensibili», preferisce non entrare direttamente nelle polemiche sollevate da un editoriale pubblicato ieri sull’ Osservatore romano in prima pagina. Il tema è esplosivo di per sé.

Tanto che di fronte alle dure reazioni degli scienziati e dei medici la stessa santa Sede è costretta a «sconfessare» con una nota ufficiale la «provocazione» del suo quotidiano. Lucetta Scaraffia, storica del cristianesimo e componente del Comitato nazionale di bioetica, scrive che il criterio della morte cerebrale e dell’impossibilità di una respirazione autonoma – elaborato nel lontano 1968 da un gruppo di scienziati di Harvard per venire incontro alla nascente tecnica dei trapianti di organi – non è più sufficiente per dichiarare la fine della vita. I tempi sono cambiati e per questo l’ex ultrà di «Scienza e vita» auspica una riflessione sia all’interno della Chiesa, sostenitrice di «una difesa integrale e assoluta della vita umana», sia tra i filosofi.

Una tesi controversa, che mette ..in pericolo, tra l’altro, i protocolli sui trapianti e la donazione di organi: cioè migliaia di vite umane. Tanto che in serata il portavoce del Vaticano padre Lombardi getta acqua sul fuoco: «Tesi interessante e autorevole ma la dottrina della Chiesa non cambia». Quell’editoriale – precisa Lombardi non riflette «il magistero della Chiesa», è un semplice «contributo» al dibattito e nulla di più. E meno male. Perché la reazione della comunità medico scientifica non si è fatta attendere.

Come ricorda Vincenzo Carpivo, il presidente dell’associazione anestesisti italiani, «il criterio della morte cerebrale è l’unico valido»: «Stabilisce la morte dell’individuo anche se i suoi organi continuano ad essere artificialmente perfusi per permetterne la donazione e il successivo trapianto». Non a caso, perfino la Chiesa lo ha accettato da tempo, nonostante all’interno del Vaticano (per esempio per i papi) usi ancora la cessazione definitiva del battito cardiaco. Anche Casavola, pur aperto al confronto, è prudente: «La fine della vita di un individuo ha conseguenze immediate sul piano del diritto e quindi bisognerà vedere soprattutto l’accoglienza che il mondo giuridico farà di questi argomenti».

Per il mondo scientifico tornare alla morte cardiaca sarebbe un terremoto assurdo e insensato, con conseguenze disastrose. Secondo Maurizio Mori, ordinario all’università di Torino e presidente della consulta laica di bioetica, «la Chiesa cattolica è ormai contro il progresso civile». «Quell’editoriale – attacca – seminerà il panico tra i pazienti. E la disinformazione è una tecnica antica che favorisce sempre svolte conservatrici». «L’obiettivo – conclude Mori – è bloccare il caso Englaro e fissare barriere tanto restrittive alla possibile legge sul testamento biologico da renderla inutilizzabile».

La morte – concordano ormai medici, filosofi e scienziati – non è un fatto istantaneo ma un processo più o meno lungo, come un tunnel dal quale non si può più tornare indietro. «Accertarla – spiega Mori – è come dire se essa avviene all’inizio del percorso o alla fine». Parlare con disinvoltura salottiera di argomenti medici così complessi è infine molto pericoloso. Mario Riccio, anestesista in prima linea sui trapianti (che ha seguito tra l’altro il caso Welby), ricorda bene il cosiddetto «effetto Celentano».

Nel 2001 un monologo sulla Rai dell’artista milanese mise in dubbio la morte cerebrale e l’espianto di organi (segno dei tempi, all’epoca fu criticato duramente anche dall’Osservatore e da Famiglia cristiana). «Dopo la trasmissione di Celentano le donazioni di organi – ricorda Riccio – calarono in modo impressionante. Molte persone che avevano visto la tv non si fidavano più dei medici e negavano l’assenso all’espianto. Sicuramente Celentano non voleva uccidere nessuno ma molte persone sono morte in attesa di un cuore o un fegato per le sciocchezze di uno show televisivo». Criteri molto rigidi per la legge italiana La legge italiana (n, 578 del’93) fissa criteri precisi e stringenti per l’accertamento della morte. La fine della vita si identifica con «la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo» accertata all’unanimità da un collegio di tre medici pubblici per un periodo di osservazione minimo di sei ore.

Nessun cadavere inoltre può essere sepolto o cremato prima di 24 ore dalla dichiarazione di morte. Registra invece qualche difficoltà quella sui trapianti del ‘99. La legge prevedrebbe il silenzio-assenso: chi non vuole donare gli organi dopo la morte deve dichiaralo in un apposito registro nazionale o nella tessera sanitaria personale.

Ii problema, rilevano gli esperti, è che la legge è rimasta in gran parte lettera morta perché mancano i decreti attuativi. In concreto, sono ancora i parenti che vengono consultati per opporsi o meno alla donazione. Negli ultimi dieci anni, in Italia i trapianti sono stati 25mila.

Leggi l’articolo pubblicato sull’Osservatore Romani di Lucatta Scaraffia