Mio Padre

Lettera di Isabella Corinna Censani in ripsosta all’artico di Fulvio De Nigris pubblicato il 11-07-08 sul Messagero

Ascoli Piceno 12-07-08

Mio padre è morto ad un mese esatto dal suo ricovero.
In quel mese, noi familiari, io (Isabella), mio fratello Stefano e sua moglie Anna Maria, abbiamo capito, avendo avuto un primo colloquio coi medici, che non ci sarebbe stato più niente da fare.
Allora noi 3 si è cercato di assicurare una adeguata assistenza e soprattutto un sostegno emotivo ed amorevole al nostro papà/marito.
Per fare questo ci siamo rivolti ai medici che turnavano in reparto, cercando di strappar loro di bocca qualche informazione, tra l’altro, sulla terapia del dolore che ci auguravamo, potesse accompagnare papà nel suo calvario e nel contempo cercavamo, sempre da loro, un sostegno psicologico anche per noi.
Mio padre, nel susseguirsi dei giorni e delle ormai brevi e silenziose visite dei medici, non aveva più un nome, un cognome, n’è noi siamo stati visti come i suoi cari con i quali aggiornare terapie ed interventi o scambiare moti di comprensione emotiva; anzi, un bel giorno ci dissero, telefonicamente, attraverso la capsula del reparto, che l’avrebbero dimesso da lì a qualche giorno anche se i valori ematici facevano temere la possibilità di una grave emorragia addominale.
Mio padre era diventato un numero, se lo divideva con il letto che occupava e che la sua degenza non rendeva disponibile per un nuovo ricovero; in effetti ci si ricovera presso l?azienda Ospedaliera e non in ospedale.
Eppure era un uomo vigile e cosciente e lo è stato sino a quando la morte ha sigillato il suo respiro.
Alcune ore prima che il n. di letto morisse, avevamo richiesto un intervento medicale che gli alleviasse quell’indescrivibile, quanto atroce sofferenza.
Dopo un intero pomeriggio passato tra il reparto di medicina e l’anestesiologia di rianimazione, era domenica e quindi la sofferenza dei pazienti vigili e coscienti può aspettare, siamo riusciti a sottoporre la nostra umana richiesta ad un medico di turno.
Questi, senza fornirci la benché minima informazione su l’intervento cui avrebbe sottoposto nostro padre per ridurgli il dolore, gli ha praticato una iniezione e questa è stato l’ultimo atto medico e umano inutile al quale è stato sottoposto, in quanto ha lasciato integra la soglia del dolore di un paziente vivo, vigile e cosciente.
Rifletta, Lei e quelli come Lei che dicono che non esistono stati di coma irreversibile e di quanto amore ed assistenza debbano essere riconosciuti a questi pazienti ed alle loro famiglie e si vada a rileggere i 4 gradi di coma e le caratteristiche diagnostiche che vengono riportate per ognuno di esse.
Rifletta su questi pazienti VIVI e cerebralmente integri fino a che non sopraggiunge la morte, come nel caso di mio padre, affetto da un tumore al mediastino ormai in metastasi, che hanno affrontato un ricovero veramente degradante ed inumano in cui manca, da parte dei medici, tra l’altro, un adeguato ricorso alla terapia del dolore.
Un dolore che è lo stesso per i familiari che vivono quel calvario.
Non parliamo, come dice Lei a pag. 12 del Messaggero di venerdì 11 luglio scorso:"potrebbe accadere qualcosa di impercettibile".
In quale contesto, ad esempio affettivo o temporale, magari tra 10, 20 o 30 anni inserire il movimento impercettibile di un alluce o di una palpebra, assunto da un senso di ridondante ipocrisia a segnale biblico della irrinunciabilità alla vita.
A quali effetti, a quali intimità familiari daranno gioia questi alluci o queste palpebre in movimento?
Nostro padre/marito non era in stato di coma superficiale, irreversibile o in stato vegetativo, forse nello Stato in cui la Chiesa vuole ci si trovi per muovere le sue campagne di propaganda (riconosce l’accanimento terapeutico eppure cinicamente, così stai lì a soffrire pene indicibili che annientano anche quanti ti sono vicini, non chiarisce mai, una sola volta, caso per caso quando questo è praticato e quando il paziente, tramite i suoi familiari può esercitare il diritto alla sospensione dei trattamenti riconosciuti come tali).
Nostro padre, dicevo, e tanti malati di cancro come lui, è morto soffrendo indicibilmente e con lui siamo morti anche noi.
Faccia un giro negli ospedali, insieme al Cardinal Fisichella e si porti dietro tutte quelle elucubrazioni stagnanti sul valore della vita e magari rifletta proprio quando la vita e la sua dignità vengono tolte a persone CLINICAMENTE VIVE; magari, allora mi unirò al vostro gruppo in visita e piangerò di commozione davanti a quel movimento impercettibile.
Nostro padre si chiamava Luigi Censanti e questa lettera la dedichiamo a quanti hanno o stanno condividendo questa esperienza come pazienti o familiari.

Isabella Corinna Censani