L’Avvenire: “La sentenza di Milano introduce l’eutanasia e viola la Costituzione”

di Paolo Lambruschi
Insigni giuristi si mobilitano contro la sentenza milanese che ha condannato a morte Eluana. Ieri un nutrito gruppo di studiosi di legge ha lanciato un grido di allarme agli italiani e alla politica, segnalando le diverse violazioni costituzionali e dei più antichi principi alla base della nostra civiltà giuridica effettuate dai magistrati della Corte d’Appello di Milano lo scorso 9 luglio.
Il documento annovera tra i primi aderenti, tre presidenti emeriti della Corte costituzionale come Antonio Baldassarre, Riccardo Chieppa e Cesare Mirabelli e due vice (Fernando Santosuosso e Massimo Vari), il rettore universitario Giuseppe Dalla Torre e due presidi di facoltà di Giurisprudenza (Giovanni Giacobbe e Roberto Pessi). Ancora, l’ex presidente del Comitato nazionale di Bioetica Francesco D’Agostino oltre a 13 docenti universitari, tutti ordinari di diritto in diversi atenei della Penisola. In tutto 22 grandi giuristi hanno sottoscritto un appello per richiamare «l’attenzione dell’opinione pubblica e delle autorità politiche» sulla decisione del tribunale milanese di autorizzare la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione di Eluana Englaro.
Il primo motivo che giustifica l’opposizione del gruppo è l’introduzione di fatto della pratica eutanasica nel diritto italiano. «Tale decisione – si legge infatti nell’appello, firmato tra gli altri dal presidente di Alitalia Aristide Police – finisce per consentire una pratica di eutanasia, vietata dal nostro ordinamento».
Gli studiosi ritengono che la sentenza abbia inoltre violato diverse norme alla base della nostra carta costituzionale. Il testo diramato ieri sera gli elenca a partire dagli antichi capisaldi del diritto romano, sintetizzati nella massima di Giustiniano «curam praetor habuit», intendendo che il magistrato abbia il dovere di garantire la massima cura, in questo caso l’esistenza, a chi è più debole. Passa poi a principi più recenti, ma «a fondamento del sistema costituzionale» che, contestano i docenti, sono stati ignorati dai giudici milanesi. Questi sono «i diritti inviolabili» della persona e «la solidarietà, orientata in questo caso alla tutela del bene sommo della vita».
Il testo esclude che l’alimentazione assistita praticata via sondino nasogastrico ad Eluana Englaro sia un’ipotesi di accanimento terapeutico, come stabilito dalla corte milanese. Anzi. Il «nefasto e deprecabile risultato» che deriverebbe dall’esecuzione delle disposizioni dei giudici «viene raggiunto togliendo il sostegno vitale a una persona umana, tuttora vivente, riconosciuta come tale dalla stessa magistratura». In questo caso l’appello dei giuristi punta dritto al cuore della sentenza dove quella di Eluana è considerata sopravvivenza solo biologica del corpo, non vita umana a tutti gli effetti.
Altro aspetto critico rilevato dagli studiosi è che il distacco del sondino che garantisce l’alimentazione e il sostegno vitale alla donna «viene autorizzato sulla base della ricostruzione operata dal giudice, attraverso indici presuntivi, della volontà della Englaro, ove quest’ultima fosse in grado di esprimersi». In sostanza, non vi è tuttora per i sottoscrittori prova autentica della volontà della giovane di morire (e in questo modo) piuttosto che rimanere in stato vegetativo. Questa sentenza, clamorosa e senza precedenti, ha un altro difetto. Secondo gli specialisti del diritto la ricostruzione degli interessi della ragazza è un’anomalia perché «avviene in rottura con la tradizione giuridica e gli orientamenti giurisprudenziali che riconoscono la figura della rappresentanza solo per l’esercizio di diritti disponibili o per favorire e proteggere situazioni soggettive». In sostanza, la malata è stata rappresentata impropriamente per finalità tragiche. Infatti, conclude l’appello dei giuristi, «non è concepibile usare un procedimento civile, prefigurato per legge per altre funzioni, per sacrificare irrimediabilmente la vita di una persona che è un bene indisponibile».