Eluana, un medico per staccare la spina

di Piero Colaprico

testamento biologicoMILANO – Galleria del Corso, pieno centro della città. Nello studio del professor Vittorio Angiolini ieri pomeriggio arriva papà Beppino Englaro. Lui e i legali devono adesso passare dalla teoria, e cioè dai contenuti della sentenza, alla pratica, e cioè alla concreta possibilità di lasciar spirare la figlia Eluana, in stato vegetativo permanente da oltre sedici anni. E non è facile. Non è mai successo prima, in Italia. E un mix di dolore, burocrazia, polemiche, ignoranza, tensioni quello che deve essere ancora affrontato da questa famiglia di Lecco, che però, come sottolinea il padre, «non mollerà mai. Continuo a muovermi- dice -nella trasparenza e nella legalità, come abbiamo sempre fatto, senza ombre e sotterfugi.

La corte d’appello ha sancito il diritto di una creatura a dire no alle cure e al sondino che la nutre, vedremo di applicarlo nel modo migliore possibile, lo chiediamo da molto tempo». Che cosa accadrà? Una via maestra sembra esserci. «Non si pensa mai a una circostanza molto chiara. Se l’incidente non fosse avvenuto nel 1992, ma un paio di decenni prima – dice il professor Carlo Alberto Defanti, tra i primi a diagnosticare lo stato vegetativo permanente della paziente Eluana sarebbe morta per il gravissimo danno cerebrale. La rianimazione ha interrotto il processo del morire e ha fallito, nel senso che non ha curato, ma ha permesso un risultato minimale e paradossale, e cioè una sopravvivenza senza coscienza. Se un medico – continua – toglierà il sondino, non farà altro che permettere al processo naturale di ripartire». Per il neurologo e bioeticista, consultato da Englaro all’inizio del suo estenuante viaggio tra aule giudiziarie e studi medici, «non è eutanasia, termine usato asproposito e spesso con violenza inaudita da vari ambienti. É un riprendere quel processo di morte, arrestato dalla scienza». Quindi, proseguendo il discorso, basterebbe staccare il sondino per trasformare Eluana in un malato terminale? Per poterla così trasferire in una struttura adatta, un hospice? «Esatto, questa è la sintesi», è la netta risposta del professore.

La Regione Lombardia aveva trentotto hospice nel 2006, a fine anno dovrebbe raggiungere quota cinquantatre. E in uno di questi che entrerà Eluana? Gli avvocati degli Englaro sono al lavoro per questo, sue due livelli. Franca Alessio, curatrice speciale, annuncia la ricerca di «un medico che sia disposto a interrompere il trattamento di idratazione e alimentazione artificiale. Sarà anche lui adire come e dove procedere». Il professor Angiolini verifica invece l’effettiva esecutività della sentenza, sa che la Procura ha sessanta giorni per tentare un ennesimo ricorso in Cassazione, «anche se a noi continua l’avvocato – sembra proprio che la corte d’appello abbia applicato alla lettera proprio quanto sancito dalla Cassazione». E questo ipotetico ricorso viene invocato-senza titolo, ma ha il suo peso politico – dal sottosegretario alla Salute Francesca Martini: «Esprimo la mia partecipazione al dolore dei familiari, ma mi adopererò, per quanto di mia competenza nelle sedi appropriate, auspicando che il Procuratore impugni il decreto». Basta anche un’occhiata al sito della Diocesi milanese per comprendere come gli ostacoli, di giorno in giorno, si moltiplicheranno.

Silenziose da sempre, le suore Misericordine, che curano Eluana, ieri hanno parlato: «In tutto questo tempo non le abbiamo mai prestato alcuna particolare cura medica», spiega suor Albina, responsabile della clinica Monsignor Luigi Talamomi di Lecco: «Non sospenderemo mai l’alimentazione. Non ci hanno ancora comunicato nulla e ovviamente noi non lasciamo entrare nessuno. Nel caso, venga il padre a prenderla. Fino ad allora la ragazza starà qui. Anche se vorremmo dire al signor Englaro che, se davvero la considera morta, di lasciarcela. Eluana è parte anche della nostra famiglia».

Il punto resta però un altro, un po` troppo spesso «oscurato». Eluana, hanno stabilito i giudici dopo lunga indagine, un posto così non l’avrebbe mai voluto. Avrebbe scelto di morire. Perciò, anche se il suo corpo è immobile, mantiene il diritto di andarsene in pace. Come chiede, dopo sedici anni e nove ricorsi, attraverso l’onestà intellettuale di un padre, che s’è costretto a mettere da parte le lacrime per non incrinare la voce della figlia.