Regione Marche: via libera alla cannabis per i malati terminali di cancro

Lucia Esposito

Nelle Marche i malati terminali che non rispondono più alle terapie tradizionali potranno curarsi con i cannabinoidi. A spese della Regione. È l’assessore alla sanità, Almerino Mezzolani del Pd, a spiegare cosa cambia per i malati marchigiani: «Oggi un degente allo stadio finale della sua malattia e con la prescrizione dello specialista può chiedere al ministero della Salute l`autorizzazione a usare i cannabinoidi e se, ottiene l’ok, va a comprarli all`estero. Viaggio e farmaci sono a spese sue. In futuro non sarà più il cittadino a dover andare ad acquistare i medicinali, ma le stesse farmacie degli ospedali importeranno i cannabinoidi dopo aver chiesto l`autorizzazione al ministero».

Per l`assessore la decisione della giunta è «un modo per aiutare persone che non possono sostenere i costi della terapia e le spese per il viaggio». In Italia la vendita è vietata: nelle farmacie di alcuni Paesi come Svizzera, Canada, Israele e Sudafrica i farmaci a base di cannabinoidi sono regolarmente reperibili. E prescritti soprattutto per controllare gli effetti collaterali dells chemioterapia: inappetenza, vomito nausea.
Ogni anno il ministero della Salute autorizza in media centocinquanta malati terminali a fare uso di queste sostanze.  Ieri la giunta regionale delle Marche ha approvato una delibera che autorizza i servizi di farmacia delle aziende ospedaliere a garantire l`erogazione dei cannabinoidi a uso terapeutico a carico del servizio sanitario regionale. Ovviamente è stata fissata una condizione molto chiara: che si siano dimostrate inefficaci le terapie tradizionali. Inoltre la certificazione medica ha una validità di sei mesi e la prescrizione (la ricetta non è ripetibile) di trenta giorni.
Il percorso terapeutico prevede che la fase iniziale del trattamento si possa effettuare solo in ospedale perché «gli effetti attesi sono condizionati dalla risposta individuale».

Successivamente il paziente può proseguire il trattamento a domicilio presentando alla farmacia ospedaliera di riferimento, ogni mese una nuova ricetta dello specialista.
Nei primi mesi del 2002 l’allora consigliere regionale radicale, il medico Yasha Reibman aveva proposto una mozione sull`uso medico della cannabis, il documento fu approvato ma si è scontrato con i limiti imposti dal governo sull`uso di queste sostanze in medicina. «Più farmaci hai a disposizione, più possibilità di cura hai. Anche gli oppiacei, come la morfina, sono illegali ma in medicina si possono utilizzare. Non si capisce per quale motivo la politica debba interferire su questioni come queste. I farmaci verrebbero usati soprattutto da persone anziane a cui non si darebbe una canna ma una pillola che contiene il principio attivo dei cannabinoidi».
Dopo la Lombardia, nel 2002 furono molte le Regioni che una dietro l`altra, cominciarono a discutere della possibilità di usare la cannabis per curare determinate patologie. Un dibattito che tenne banco per almeno un anno e mezzo e che poi, come accade spesso, scomparve dai giornali. Le mozioni regionali intendevano sollecitare Parlamento e governo ma la reazione non è stata immediata.

Il 18 aprile del 2007 il ministro della Salute Livia Turco ha inserito ufficialmente i derivati dalla cannabis tra le sostanze dotate di efficacia terapeutica. «Si chiamano terapie contro il dolore – disse la Turco – e non hanno nulla a che vedere con gli spinelli. Basta che uno parli di cannabis e succede il finimondo». Il decreto, sentito il Consiglio superiore di Sanità e ottenuto il via libera dal ministero della Solidarietà sociale, ha inserito nella tabella II (dove sono elencate le sostanze che hanno attività farmacologica e, pertanto, sono usate in terapia in quanto farmaci) due principi attivi derivati della cannabis. «Le due sostanze si sono rivelate efficaci anche nel trattamento di patologie neurodegenerative quali la sclerosi multipla», si legge nel decreto.