«No all’accanimento sul bambino prematuro»

di Letizia Cini
«Non sono tre gior­ni a fare la differen­za, ma la qualità di vi­ta che spetta a queste creature sopravvissute».

 

Non ha dubbi Giampaolo Don­zelli, neonatologo del Meyer e ‘anima’ della ‘Carta di Firenze’, documento di riflessione varato nell’aprile del 2006 da dieci so­cietà scientifiche e mediche.

 

Cosa pensa della modifica introdotta dalla Regione Lombardia, professore?

«La discussione in corso sul limi­te di 22 settimane e tre giorni per l’aborto terapeutico è polemi­ca fine a se stessa. Il neonato ha il diritto a nascere sano o, in par­ticolari casi, sotto il limite mini­mo di vitalità, a non nascere».

 

Un atteggiamento che può sembrare drastico…

«Far crescere creature nate dopo pochissime settimane di gesta­zione oggi è possibile grazie alle macchine, ai passi avanti fatti dalla tecnologia. Ma occorre por­si dei limiti».

 

In che senso?

«L’uomo corre il rischio di sen­tirsi onnipotente, di sostituirsi a Dio. Siamo arrivati a veder crescere neonati di piccolissimo pe­so, a costo di gravi patologie. Per questo abbiamo discusso e ap­provato un documento, una ba­se di riflessione per dire ‘no’ v all’accanimento terapeutico nei bambini nati prematuri dopo una gestazione compresa tra le 22 e le 24 settimane: la sintesi verrà consegnata a giorni al Con­siglio superiore di sanità».

 

Una posizione che continua a far discutere…

«Utile però a far maturare nell’opinione pubblica e nei me­dici l’idea che tematiche di que­sto genere vadano gestite tra la tentazione di cedere all’eutana­sia neonatale e quella di svuota­re di senso il no all’accanimen­to terapeutico».

 

Ma a decidere è sempre il medico?

«E non potrebbe essere altrimen­ti. Ma non condivido le posizio­ni ipergarantiste che arrivano di fatto a dire ‘pratichiamo sempre e comunque qualunque terapia nella speranza che possa avere esiti positivi’. E parlo da creden­te che per 35 anni ha lavorato dalla parte dei bambini».

 

Dove sta il giusto limite?

«L’evoluzione della medicina ci ha portato di fronte a sfide im­portanti, ma a 22 settimane e 3 giorni, nella stragrande maggio­ranza dei casi, i bambini muoio­no subito dopo la nascita o vanno incontro a gravissime condi­zioni di vita. Per questo si ipotiz­za l’ipotesi di accanimento tera­peutico».

 

Quindi?

«Di fronte alla domanda ‘fare o non fare’, prima dovremmo fer­marci a pensare».

 

La pensano così anche i suoi colleghi?

«I più. Non a caso una recente ri­cerca condotta fra i medici di tut­ta Europa ha dato un risultato su cui molti dovrebbero oggi ri­flettere parecchio: alla domanda cosa avrebbero fatto nel caso il fi­glio nato sul limite di 22 settima­ne fosse stato loro, quasi tutti hanno risposto che avrebbero chiesto al neonatologo di non far niente».