La rabbia e il dolore di Welby: “Vi scrivo dalla mia infame prigione”

Lunga lettera del militante radicale ai media che respinge le accuse di strumentalizzare
e chiede nuovamente di poter staccare le macchine che lo tengono in vita

Rifiuta, sdegnato, le accuse di “strumentalizzare” la propria condizione per muovere a compassione, “per mendicare o estorcere in tal modo, slealmente, quel che proponiamo e perseguiamo con i miei compagni”. Piero Welby affida ad una lunga lettera, inviata a tutti i media (questa sera, il Tg3, nell’ approfondimento quotidiano “Primo Piano”, tornerà ad occuparsi del caso), il suo ennesimo grido di dolore e di rabbia.

Immobilizzato a letto, in vita solo grazie ad un ventilatore polmonare, Welby torna a chiedere la possibilità di porre fine alla sua esistenza. “Dalla mia prigione infame, da questo corpo che – per etica, s’intende – mi sequestrano, mi tornano alla memoria le lettere inviate alla “politica” da un suo illustre, altro, “prigioniero”: Aldo Moro – scrive Welby – Pagine nobili e tragiche contro gli uomini di un potere che aveva deciso di condannarlo (anche lui per etica, naturalmente) a morte certa, anche lui ad una forma di tortura di Stato, feroce ed ottusa. Quelle pagine non potrei farle mie. Anche perché furono perfette, e lo restano. Un pensiero, ancora, un interrogativo, un dubbio: dove sono mai finiti per tanti “credenti” Corpo mistico e Comunione dei Santi?”.

C’è rabbia, nella lettera di Welby, che si scaglia contro chi lo accusa di “strumentalizzare” la sua condizione per la battaglia, condotta insieme ai radicali, per il diritto ad una morte giusta. Lo stesso destino, continua Welby, che toccò a Luca Coscioni: “Infamandoci come meri oggetti o come soggetti plagiati. (O indemoniati, vero… Signori?). Strumenti? Sono, invece, limpidi obiettivi ideali, umani, civili, politici”.

“Addio, Signori che fate della tortura infinita il mezzo, lo strumento obbligato di realizzazione o di difesa dei vostri valori – continua welby – Chi siano (e in che modo) i morti o i vivi che rimarranno tali quando saremo tutti passati, non sappiamo, né noi né voi”.

Infine la richiesta, fatta ai 700 militanti radicali impegnati in uno sciopero della fame, di sospendere la protesta “che ha contribuito a dare vita ad un momento di dialogo nel paese”. Nel frattempo martedì
12 dicembre si terrà l’udienza del Tribunale di Roma sul ricorso presentato da Welby per ottenere l’interruzione dell’accanimento terapeutico.