Il dramma di Welby coinvolge la politica. Il Pd si apra a un confronto sano e laico

di Ivana Bartoletti
La vicenda di Welby, così come ogni vicenda umana e dolorosa, chiama in causa la politica nel suo complesso, e la sua saggezza nell’affrontare, co­sì come ci richiede lo spirito di questo tempo, quei terre­ni complessi e nuovi che l’avanzamento della tecnica ci pone davanti con forza. Credo però che su questo terreno valga la pena di fare un po’ di chiarezza.

L’euta­nasia è un tema molto diffi­cile, ma certamente non è un tema nuovo. La storia della nostra letteratura ci ha mostrato da sempre casi di estrema sofferenza e dolore di donne e uomi­ni, rispetto ai quali la pietà ha preso il soprav­vento sulla fede. È stato così da sempre, nell’etica cristiana, così come in quel­la più laica. La pietà come ultima sfera del sacro, di quel luogo da cui tutto viene e tutto torna, che sfugge alla nostra umana comprensione e alla nostra tendenza occidentale a vo­ler dare di ogni cosa una spiegazione con cui illumi­nare il mistero.

Oggi certamente i tempi sono cambiati: e questo è dovuto all’avanzare delle scienze, che ci pongono di fronte nuovi interrogativi, ovvero l’andare oltre la pietà per sancire un mo­mento in cui la vita diviene realmente tale oppure smette di esserlo. Non solo, è cambiata anche la perce­zione della vita stessa, sempre più associata all’idea di essere sani, forti, e magari anche belli e giovani: una percezione che deve neces­sariamente fare i conti con la malattia e con il dolore, non più arginandolo ma rendendolo parte del per­corso della vita.

Uno scenario che ci im­pone, oggi, riflessioni nuo­ve. Welby ci fa paura, per­ché a farci paura non è solo l’inconoscibile mistero della morte. A farci paura è la ca­pacità di poter mettere fine e inizio alla vita, in un terre­no in cui l’arbitrio cozza contro la speranza, non solo cristiana, contro la certezza che il re­spiro sia di per sé un atto di­vino, a prescindere dalle condizioni fisiche e materia­li. Allora, io credo che siano proprio questi i terreni in cui la politica debba entrare in gioco. Non tanto e non solo perché di fronte alla tecnica sia necessario un si­stema legislativo capace di porre limiti e possibilità. Quanto perché spetta alla politica divenire quel luogo di elaborazione culturale, e perché no filosofica, sullo spirito del nostro tempo, a partire dalla spiritualità lai­ca di donne e uomini che di fronte all’avanzare della tecnica rivendicano il biso­gno di interlocuzione con una sfera più alta di sé, in rapporto diretto con l’inco­noscibile mistero della vita. Su questo terreno, io credo che nessuno possa er­gersi a difesa di valori pre­costituiti. Certamente, l’a­vanzamento della bioetica, la possibilità di manipolare il proprio valore più intimo, il patrimonio genetico, il procedere incessante delle tecniche di fecondazione as­sistita necessitano di un luo­go pubblico delle decisioni che non può essere lasciato alla scienza in quanto tale. Spetta bensì alla politica farsene carico con umanità e con saggezza. Qui entra in gioco la laicità. Non come estro­missione di valori fondanti e appar­tenenti alla sfera del religioso – la vita come dono di Dio – quanto piut­tosto come indivi­duazione di un nuovo patrimonio collettivo fatto di regole condivise, l’e­tica, capace di tenere insie­me le più alte aspirazioni delle donne e degli uomini. Uno spazio pubblico, dun­que, come alto luogo di approdo delle istanze di tutti, laici e credenti, di ogni pro­venienza, appartenenza e orientamento.

Questa è la grande esi­genza del nostro tempo: per questo di fronte a vicende come quella di Welby urta­no insopportabilmente i re­ferendum, gli «evviva» e gli «abbasso». Urtano perché la società di oggi necessita una grande riflessione su sé stessa, capace di affrontare il tema della morte non solo come uno spazio dove si in­contrano paure e mistero, ma anche capace di riposi­zionarla dove essa sta, entro la luce della vita, a cui dare pertanto dignità, valore quanto alla vita stessa. Per questo io credo Welby meri­ti ciò che chiede. E lo meri­ta la nostra società, pronta come è, io credo, a una nuo­va riflessione, moderna e laica, per costruirsi una ra­gione pubblica in cui le donne e gli uomini si rico­noscano. Mi auguro che una sana discussione sul testa­mento biologico possa an­dare in questa direzione, così come mi piacerebbe che si parlasse di analisi pre-impianto. Con serenità, senza steccati, con l’ambi­zione di costruire quell’orizzonte condiviso, così ne­cessario anche al­le generazioni più giovani.

Questo vorrei fosse lo scenario con cui si con­frontasse il dibat­tito del Partito democrati­co. L’articolo impegnato e appassionato di Piero Fassino, in fondo, richiama a un’idea di Pd che di questo si occupi, è questa la media­zione alta di cui si parla e che farebbe del Pd un parti­to nuovo, capace di dire alle cittadine e ai cittadini: «qui stanno futuro, etica e mo­dernità, state con noi».

Responsabile nazionale diritti civili Ds