Caso Welby, il tempo delle scelte

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, interpellato dalla lotta di Piergiorgio Welby per una vita dignitosa e una morte “opportuna”, è stato il primo a dichiarare “ingiustificabile” l’eventuale “silenzio, la sospensione o l’elusione di ogni responsabile chiarimento”. L’invito di Napolitano non è caduto del tutto nel vuoto.

Il Presidente della Commissione Sanità del Senato, Ignazio Marino, non sta risparmiando nulla della propria passione e competenza sia nel percorrere lo stretto cammino parlamentare del provvedimento sul testamento biologico, sia nel compenetrarsi al dramma di Welby. Insieme al suo omologo alla Camera, Mimmo Lucà, ha ribadito l’ “impegno per giungere nei tempi più rapidi possibili all’approvazione di una legge sul testamento biologico e contro l’accanimento terapeutico”. Un obiettivo che Marino ha definito, insieme alla Capogruppo DS alla Camera Anna Finocchiaro, un “obbligo morale”, pur riconoscendo “l’impossibilità di poter proporre una soluzione concreta accettabile” per Welby.

Oltre 200 cittadini, tra i quali personalità del mondo della politica e della scienza, stanno conducendo da giovedì uno sciopero della fame, insieme a cinque persone seriamente ammalate che si stanno autoriducendo le terapie, per aiutare la ricerca di una risposta alla richiesta di Welby. Una risposta che il Senatore Furio Colombo considera doverosa, pur ritenendo che non vi sia “il tempo ragionevole e paziente richiesto dai normali processi della politica”. I tempi del nostro co-Presidente, e della tortura alla quale è sottoposto, non sono effettivamente quelli del Parlamento. Forse non sono nemmeno i tempi del Potere, capace di travolgere ogni regola quando è in gioco la propria sopravvivenza, eppure imbrigliato ora dalla contraddittorietà di leggi che proibiscono sì l’accanimento su un corpo sequestrato, ma che al tempo stesso minacciano, con la giurisprudenza prevalente, una dozzina d’anni di carcere per chi dovesse compiere quello che Don Verzé ha finalmente definito come un possibile e necessario “atto d’amore”.

Sapremo nelle prossime ore se qualcuno – medico, politico, magistrato – potrà fornire un’alternativa alla disobbedienza civile evocata e preannunciata da Welby, a quell’affermazione di coscienza che consideriamo obbligata da parte nostra per interrompere la violenza in atto contro di lui, come contro tanti altri “ignoti”. Non intendiamo però consentire che il “confronto sensibile e approfondito” chiesto dal Presidente della Repubblica – e accettato, a parole, da quasi tutti – continui ad essere privato di strumenti previsti per legge, che sarebbero fondamentali sia sui temi delle decisioni di fine vita, sia sulle questioni relative alla libertà di ricerca scientifica.

Il Comitato Nazionale di Bioetica, nominato da Silvo Berlusconi e scaduto il 15 giugno 2006, non è stato ancora rinnovato da Romano Prodi. Persino il posto dell’Italia lasciato libero da Carlo Casini al Gruppo Europeo di Etica rimane vacante da mesi. Il rinnovo del CNB, previsto da impegni internazionali dell’Italia, non è compito semplice. Il Comitato si era ormai trasformato in pletorico parlamentino, ostaggio troppo spesso di dinamiche correntizie e di pressioni Vaticane. Ma è proprio la difficoltà della nomina a esigere una decisione politica chiara ed immediata, per un Comitato finalmente adeguato ai suoi compiti. Scaduto il tempo delle necessarie verifiche di competenze e disponibilità, il ritardo che si accumula è solo utile ad alimentare logiche spartitorie e a pregiudicare l’autorevolezza e credibilità del futuro Comitato. Nazionale di Bioetica.
Il tempo delle scelte – per Welby e per il Paese – è arrivato.

Marco Cappato, Segretario Associazione Coscioni
m.cappato@radicali.it