Il Paese si nasconde dietro la finta morale di difendere presunti valori come la vita

di Emanuele Colosio
Stiamo facendo una petizione da presentare al Parlamento, anche dopo le sollecitazioni del Capo dello Stato in seguito alla lettera inviata da Welby

Abbiamo incontrato Maria Antonietta Farina Coscioni, moglie di Luca, morto di sclerosi laterale amiotrofica nel febbraio del 2005, durante una delle sue visite lungo lo stivale per promuovere una petizione a favore dell’introduzione di una legge sul testamento biologico e l’eutanasia. Ieri era a Brescia, proprio per parlare di questa importante questione.

Signora Coscioni, che cos’è l’associazione che porta il nome di suo marito? È un’associazione di politica nata quando Luca era in vita. Proprio perché tratta di temi politici e non si pone l’obbiettivo di diventare un’associazione “a memoria di”, ma di dare la possibilità di aprire un dibattito e le porte alla libertà di ricerca scientifica, di cura e di terapia.

In cosa sono concentrate in questo periodo le energie dell’associazione? Stiamo portando avanti una petizione da presentare al Parlamento italiano perché affronti la questione eutanasia, anche dopo le sollecitazioni giunte dal Capo dello Stato conseguenti alla lettera inviata da Piergiogio Welby, copresidente della nostra associazione, dove emerge chiaramente la volontà di fermare l’accanimento terapeutico al quale è soggetto, soprattutto da quando negli ultimi tre mesi è completamente immobilizzato. Come crede che il Parlamento valuterà la cosa?

Si dice che sia possibilista sulla questione del testamento biologico, ma meno sull’eutanasia. Questo il compromesso che però risulterebbe essere un contentino che non eviterebbe che si verifichino degli altri casi Welby. Anche lei e Luca avete vissuto una situazione analoga a quella di Welby, che ha portato però Luca a scegliere di non effettuare la tracheotomia che gli avrebbe permesso di respirare…

È stata una scelta sofferta e difficile, soprattutto per me. Ma ho sempre avuto grande rispetto delle idee di Luca, e quindi ho rispettato la sua scelta. Questa non è l’unica battaglia che l’associazione porta avanti. Ce ne sono tante altre, come sulla pillola abortiva Ru486, la ricerca sulle cellule staminali, la fecondazione assistita.

Perché in Italia a livello politico si continua ad opporsi a queste possibilità ? Perché ci si nasconde dietro una falsa morale. Siamo un paese di moralisti che si nascondono dietro alla presunzione di difendere presunti valori universali, come quello della vita, anche se spesso poi quando ci si trova davanti a questo tipo di problemi si compiono scelte diverse. In Italia esiste anche un forte dibattito sulle cellule staminali, nelle quali si inserisce anche la vostra campagna sull’uso del cordone ombelicale. Come procede? Il sangue del cordone ombelicale contiene cellule staminali che potrebbero servire per la cura di gravi malattie, per ricostruire tessuti od organi malati e, in caso di compatibilità, per trapianti a terzi.

In Italia attualmente viene praticato solo in alcune strutture pubbliche di poche regioni. Vorremmo estenderlo il più possibile. Abbiamo avuto delle aperture da parte del ministro Turco, anche se ci sono, come sempre su questi argomenti, degli intoppi di carattere politico. La ricerca sulle cellule staminali in Italia. È un’associazione di politica che vuole si pone l’obiettivo di dare la possibilità di aprire un dibattito e le porte alla libertà scientifica, di cura e di terapia mette solo l’importazione delle cellule dall’estero.

Cosa ne pensa? Penso sia un modo per giustificarsi e la dimostrazione dell’atteggiamento ipocrita che ci contraddistingue: il lavoro sporco lo si fa all’estero, mentre quello pulito in Italia. Come se ci fosse qualche differenza. Perché secondo lei in Italia siamo fermi rispetto alla ricerca sulla clonazione terapeutica? Perché la politica vive questi temi come una questione di moralità e non politica.

Sollevammo la questione dal 2001, quando sia Rutelli sia Berlusconi ammisero che non volevano inserirli nel proprio programma perché non li reputavano argomenti da campagna elettorale. Per l’ospedale Sant’Anna di Torino gli esperimenti sulla pillola abortiva Ru486 hanno funzionato. Però la politica continua a non occuparsene, perché? Anche qui è una questione di falsa moralità. Si pensa che per una donna la scelta di abortire sarebbe più semplice se lo potesse fare attraverso una pillola invece che con un intervento chirurgico. Ma non è così.

Solo con la Ru486 si eviterebbe un trauma ancora maggiore di quanto non sia già. Secondo lei c’è una parte del mondo cattolico è maggiormente disponibile a discuterne? Certamente. Ad esempio quelle stesse donne che votarono a favore dell’aborto e che sono credenti. Come è cambiatala sua vita da quando Luca non c’è più? La mia vita è stata stravolta. A volte penso fosse più facile prima. Adesso pensare di combattere queste battaglie senza di lui mi sembra molto più difficile. Ma mi sento di proseguire. Altre riflessioni? Solo un pensiero per la moglie di Welby. Quando ci sentiamo percepisco una certa serenità da parte sua, ma so bene che vorrebbe anche che Piergiorgio cambiasse idea. Ammiro molto quindi la sua forza di rispettare le scelte di suo marito.