Libero riporta ampi stralci dell’intervista realizzata da Virus, il programma ideato e condotto da Gianfranco Funari, in onda su Odeon, a Piergiorgio Welby, l’uomo affetto da distrofia muscolare, che venerdi scorso, tramite una lettera aperta a Giorgio Napolitano, ha fatto richiesta di eutanasia.
«Più che della morte, ho paura di questa vita». E racchiuso in queste nove parole tutto il senso della battaglia di Piergiorgio Welby. Dopo aver indirizzato al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano un videomessaggio, in cui chiedeva l’eutanasia, Welby continua con risolutezza la sua lotta, rendendosi anche portavoce di chi vive la sua stessa, drammatica condizione. Lo sta facendo tramite il suo blog, i quotidiani, le televisioni; ieri le telecamere di Odeon, in esclusiva, sono entrate nel suo appartamento del quartiere Don Bosco a Roma. Attraverso un sintetizzatore, ha risposto alle domande dell’inviata di “Virus”, il programma ideato e condotto da Gianfranco Funari, ripercorrendo le fasi della sua malattia e raccontando le sue giornate.
La malattia «Ho scoperto di essere ammalato di distrofia muscolare quando ancora ero molto giovane, avevo 16 anni», dice Welby; «la mia situazione è andata peggiorando finché, a 33 anni, ho dovuto far ricorso alla sedia a rotelle. Era il 1978». Adesso Welby, 60 anni, è costretto a letto: «Da quasi due mesi e mezzo – fa sapere -; prima riuscivo a scrivere al computer, a lavorare, leggere e comunicare con i miei amici tramite internet. Ora solamente per due ore al giorno, verso mezzogiorno e poi a sera, riesco ad alzarmi». Welby ricorda anche l’ultima volta che è uscito da casa. «E stato lo scorso anno, con l’aiuto degli amici radicali. Con la loro assistenza, sono andato a votare al referendum contro la legge 40, quello sulla fecondazione assistita e la libertà di ricerca».
Musica e sogni Le risposte di Piergiorgio, copresidente dell’Associazione Luca Coscioni (presidente onorario dei Radicali italiani e dell’omonima associazione, scomparso a febbraio a causa della sclerosi laterale amiotrofica), sono comprensibilmente brevi, riservate. «Come passo le mie giornate? Ascolto la radio, chiudo gli occhi, e sogno» Ma ogni, tanto, confida, si sveglia spaventato e sudato: «Perché sogno la mia malattia; ma non di liberarmene o guarire: sogno altre cose».
Ma cosa è la vita? A questa domanda, posta dall’intervistatrice, Welby non tenta risposte retoriche o commoventi: «Se lo sapessi non lo direi – commenta asciutto – ognuno deve dare un senso alla propria vita». Nella lettera aperta inviata al presidente della Repubblica, Welby faceva più volte ricorso a citazioni di grandi scrittori e poeti, da Plutarco, a Leopardi, a Eschilo. L’intervistatrice, sottolineando la fede nel divino del tragediografo greco, domanda a Piergiorgio se creda in Dio, ma lui, molto ironicamente, ribatte che «credo in tutto, anche nei giornalisti».
Poi, però , più seriamente, afferma che «richiedere o praticare l’eutanasia non è un affronto verso Dio, e pur essendo una pratica ancora illegale in Italia sarei pronto a disobbedire alla legge e a chiedere al mio medico di fare altrettanto. Si tratta di un gesto che andrebbe a favore di molti altri cittadini, di tutti quegli italiani che chiedono la stessa cosa». Disobbedienza civile? «Se la vogliamo chiamare così…». Di fronte all’ipotesi di estendere la “dolce morte” anche alle persone fortemente depresse o al bambini, come già viene fatto nei Paesi Bassi, Welby ci scherza sopra: «Questa domanda facciamola fare a Giovanardi».
L’amore è tutto La determinazione con cui Welby affronta la sua malattia appare però quando tratta il tema della morte: «Di quella non ho paura, il mio vero timore va a questa vita». E aggiunge: «Ho un tatuaggio, c’è scritto “Love is all”, l’amore è tutto: proprio grazie a questo non mi spaventa l’idea di abbandonare tutto». Nemmeno sua moglie, gli viene chiesto? «Nemmeno lei, ma proprio perché l’amo».