La mortificante smentita dell’ennesima conquista epocale in campo biomedico, e cioè lo sbugiardamento della scoperta di un sistema per ottenere staminali da embrioni umani senza distruggerli, annunciata con grande enfasi dai giornali di tutto il mondo la scorsa settimana, insegna che, prima di tutto, gli articoli scientifici andrebbero letti separatamente dagli annunci e dalle interviste piene di glamour pseudoscientifico. Bastava leggere l’editoriale dell’ultimo Nature, infatti, per apprendere che “in the experiment, the embryos were dismantled cell by cell”, cioè “nell’esperimento gli embrioni sono stati smantellati cellula dopo cellula”: l’editoriale di Nature, insomma, aveva già chiaramente spiegato che l’équipe dell’Advanced Cell Technology guidata da Robert Lanza aveva distrutto tutti gli embrioni umani per ricavarne cellule staminali.
Lo denunciano i numeri: gli autori scrivono che da sedici embrioni scongelati (di otto-dieci cellule ciascuno) sono state isolate novantuno cellule (blastomeri), dalle quali si sono poi ricavate due linee cellulari di staminali embrionali. Ma per isolare novantuno cellule si devono per forza “smontare” gli embrioni, come aveva sottolineato anche il Los Angeles Times del 24 agosto, nel quale si spiegava che gli scienziati “per massimizzare le loro chance di successo, hanno smantellato gli embrioni in novantuno blastomeri separati… anche se gli embrioni sono stati distrutti in questo esperimento, Lanza ha dichiarato che non era necessario distruggerli per far funzionare la procedura (it was not necessary to destroy the embryos for the procedure to work)”. Ma questo lo dice lui, non il suo articolo, e sta di fatto che non è vero che cellule staminali embrionali umane siano state da lui ottenute senza distruggere embrioni. Punto.
Lanza ha utilizzato la stessa tecnica della diagnosi preimpianto, che per permettere il successivo impianto in utero degli embrioni manipolati prevede che da ciascuno di essi si isoli una sola delle otto-dieci cellule. Ma nel lavoro pubblicato su Nature questa tecnica è stata usata per prelevare la gran parte delle cellule. Tutti gli embrioni sono stati distrutti (non è stato scritto esplicitamente, lo si è solo lasciato intuire) perché la resa della tecnica è bassa. Lanza, come si è detto, ha infatti ottenuto solo due linee cellulari dalle novantuno cellule di partenza. Lo aveva notato, sul New York Times anche Leonard Kass, l’ex presidente del Consiglio di bioetica di Bush.
Il marketing della ricerca
Il marketing della scienza si mangia la scienza, quindi, e distrugge, oltre agli embrioni umani, quel minimo di correttezza che sarebbe richiesta in questioni anche meno rilevanti di questa. Se l’illustre scienziato Robert Lanza presenta in un articolo sull’altrettanto illustre rivista Nature la propria ricerca, sta ben attento a non raccontare balle. Ma si sente libero di farlo in un’intervista sul sito della stessa rivista: “Quello che abbiamo fatto, per la prima volta, è creare cellule staminali embrionali umane senza distruggere l’embrione”. Una balla, come si è visto. Poco male che l’affermazione sia in netta contraddizione con l’editoriale di Nature e con la dichiarazione dello stesso Lanza al Los Angeles Times. L’applauso internazionale è scattato lo stesso, e la “conquista epocale”, che tale non è, ha potuto fare il giro del mondo. Ci sono volute le obiezioni di Richard Doerflinger, vicedirettore delle attività pro life della Conferenza episcopale cattolica degli Stati Uniti, per costringere Robert Lanza ad ammettere che “gli scienziati hanno prelevato il maggior numero possibile di cellule da tutti gli embrioni, distruggendoli nel processo”.
La rettifica è arrivata anche in Italia, anche se a darle il giusto rilievo sono stati soltanto il Corriere della Sera e il Tg2. Per tutti gli altri, all’ampio risalto dato al primo annuncio della scoperta del metodo per ottenere staminali senza danneggiare o distruggere embrioni non è corrisposto, dopo la marcia indietro di Nature e di Lanza, nient’altro che il silenzio. Nonostante l’editoriale di Nature avesse spiegato bene cos’era accaduto, la rivista ha comunque permesso la pubblicazione di un articolo il cui punto chiave – la sopravvivenza o meno degli embrioni dopo il prelievo – non era sufficientemente esplicitato, e ha dato spazio sul sito alle dichiarazioni trionfalistiche e infondate di Lanza.
Da questo triste guazzabuglio, che con la scienza poco ha a che fare, si capisce fino a che punto abbia preso piede un nuovo oscurantismo scientista. Qualcosa che si nutre di fede assoluta nel “marchio di fabbrica”: il grande scienziato, la grande rivista, il grande istituto di ricerca, che sempre più spesso producono grandi bufale. A certe notizie “bisogna” credere. Troppo grande è l’aspettativa, e diventa inevitabile presentare risultati mai ottenuti, raccontare conquiste inesistenti, gridare all’innovazione miracolosa quando la vera novità non c’è affatto. La filiera dell’informazione, dal canto suo, sempre più spesso si fida (del grande nome, della grande rivista eccetera eccetera), senza neppure controllare le fonti primarie. La falsa scoperta di Lanza è soltanto l’ultima di una serie di risposte drogate a un’aspettativa a sua volta drogata. Si ripete fino alla nausea che le cellule staminali embrionali sono promettenti per curare malattie terribili e senza speranza, alimentando così, irresponsabilmente, le speranze di tanti malati, ma finora non è stato nemmeno possibile avviare una sola sperimentazione clinica che ne faccia uso, in nessuna parte del mondo.
Si sottolinea che in Europa è vietata la clonazione terapeutica per ottenere cellule staminali embrionali, ma si dimentica di dire che nessuno, finora, è riuscito a ricavare linee staminali embrionali da embrioni clonati con quella tecnica: le uniche pubblicazioni scientifiche a riguardo sono state quelle del veterinario coreano Hwang, definite come la più grande truffa mai consumata ai danni della scienza moderna. Dalla clonazione terapeutica, insomma, finora non sono mai state ottenute cellule staminali embrionali, nonostante il gran parlare che se ne fa continuamente. Gli scienziati dovrebbero essere i primi a preoccuparsene, e invece leggiamo sul Corriere le dichiarazioni di Giulio Cossu, un’autorità nel campo, convinto che “nessuno di noi se cerca fondi si sognerebbe mai di scrivere un articolo al naturale, senza aggiungerci la salsa”.