La crisi è imputabile ad altre cause, e principalmente al sistema di reclutamento del personale che fa ricerca. Reclutamento che raramente avviene secondo le regole della meritocrazia e del mercato, com’è norma nella maggior parte dei Paesi maggiormente sviluppati. Di questo sono responsabili gli Enti di ricerca ed in particolare le Università.
Da tale premessa prende le mosse una proposta di riforma del sistema ricerca che l’Associazione Luca Coscioni ha sottoposto al ministro Fabio Mussi. L’autonomia universitaria voluta dal ministro Ruberti fu una conquista importante.
Ciò nonostante, l’autonomia ha portato le Università ad agire senza controlli e di conseguenza a poter rifiutare facilmente un vincitore di concorso, anche se di prestigio. Ecco il punto più critico da superare. Mancando una separazione fra potere amministrativo e potere accademico, le Università si trovano in un conflitto di interessi. L’autonomia, per avere effetti benefici e non distruttivi, deve essere accompagnata da misure che esercitano un controllo.
L’Associazione Luca Coscioni ritiene che il migliore provvedimento possibile sia un rigoroso sistema di valutazione delle Università stesse. Pertanto, la prima proposta rivolta al nuovo Ministro della Ricerca è quella di migliorare il processo di valutazione avviato dal Comitato di Indirizzo per la Valutazione della Ricerca (CIVR), che ha indirizzato la distribuzione delle risorse del fondo ordinario delle Università in base alla produzione scientifica dei singoli Atenei. Molte Università sarebbero costrette a chiudere, a meno che non fossero in grado di garantire una produzione scientifica di alto livello, con reclutamenti meritocratici e una razionalizzazione delle spese.
Una volta che il sistema funzionasse in base a tali criteri, si potrebbero abolire i concorsi e realizzare le assunzioni attraverso una vera selezione meritocratica, al posto di quella che – attualmente e nonostante i concorsi – è una cooptazione del pezzo di turno di una catena di montaggio, in cui i criteri di selezione sono il tempo di attesa e le logiche clientelari.
Oltre alla valutazione scientifica e didattica, sarebbe anche auspicabile compiere una valutazione dell’amministrazione.
Un secondo punto fondamentale riguarda la valutazione delle richieste di finanziamento. È stato un merito del Ministro Berlinguer l’avere introdotto per la prima volta un sistema di valutazione dei progetti di ricerca da parte di revisori esterni, anche stranieri.
Tale rivoluzione, tuttavia, riguarda una modestissima parte dei finanziamenti universitari. La seconda richiesta al nuovo Ministro, pertanto, è quella di estendere lo stesso sistema di valutazione a tutti i fondi pubblici per la ricerca. Tale sistema funziona benissimo in istituzioni private come Telethon, dove esiste una netta separazione fra potere amministrativo e potere accademico.
Questa riforma a costo zero innescherebbe un circolo virtuoso molto positivo. Si creerebbero così le prime condizioni per un mercato serio, perché chi ha ottenuto i fondi in questo modo sa che se sceglierà giovani collaboratori qualificati otterrà risultati che gli permetteranno di accedere ad ulteriori finanziamenti.
Questi giovani ben selezionati costituiranno il miglior vivaio per il reclutamento del corpo docente. Si dovrebbe anche trovare il modo di indurre le Fondazioni bancarie ad elargire fondi per la ricerca con analoghi sistemi di valutazione esterna. Questi enormi capitali costituirebbero il miglior finanziamento per il rilancio delle Università, che non possono fare affidamento soltanto sui fondi elargiti dal Ministero.
In un recente rapporto della Comunità Europea si afferma che il 25-50% dell’economia di un Paese dipende dall’investimento in ricerca. Per questo motivo, oggi nel mondo la gestione delle conoscenze è al centro di un vero mercato finanziario. Si parla di flusso di cervelli per indicare come anche il capitale umano si muova con facilità sotto la spinta del mercato, al pari dei flussi finanziari. Le statistiche dimostrano che gli Stati Uniti sono un vero vacuum cleaner, un aspirapolvere che attira cervelli da tutto il mondo. La ragione dell’enorme flusso verso gli Stati Uniti sta nell’eccellenza delle strutture di cui dispongono.
L’investimento in ricerca deve quindi frenare l’esodo dei nostri ricercatori e favorire il rientro di coloro che già si trovano all’estero. Meglio ancora sarebbe riuscire anche ad attrarre ricercatori stranieri. Finora il programma per il rientro dei cervelli non ha dato i frutti sperati anche perché sono rimpatriati cervelli temporaneamente parcheggiati all’estero, mentre i ricercatori qualificati, che si trovano soprattutto negli USA, non si accontentano di rientrare solo perché si offre loro uno stipendio.
La ricerca è un’attività fortemente competitiva e gli scienziati altamente qualificati cercano laboratori dove si possa lavorare e produrre. Se le Università vorranno attrarre ottimi ricercatori debbono organizzare centri di ricerca competitivi, ben attrezzati e soprattutto dotati di massa critica, cosa che di regola manca nelle Università italiane dove le strutture tendono ad essere disperse sul territorio.
Un ultimo punto riguarda l’istituzione di nuove Università che devono essere approvate sulla base di ben chiari requisiti minimi. La creazione di sub-sedi situate a notevoli distanze dalla sede centrale impone un investimento di tempo per i ricercatori che non ha ricadute a nessun livello. L’immissione delle Lauree Brevi nell’attuale situazione ha imposto un intollerabile carico didattico a spese soprattutto dei giovani ricercatori, che per la loro formazione dovrebbero dedicarsi quasi esclusivamente alla ricerca (v. Legge 382, 1980). Il suggerimento dell’Associazione Coscioni al Ministro è di creare Università di vario livello come i Colleges o le Scuole Superiori.
Non è compatibile con l’economia del Paese che per far fronte ad una didattica di livello inferiore si creino Università con docenti prestigiosi per poi chiedere loro di dedicarsi ad un insegnamento che è paragonabile a quello di un “superliceo”, e neppure che si crei un numero spropositato di docenti, una parte dei quali non è in grado di fare ricerca.