L ‘intesa sulle staminali un esempio per l’Unione

di Ignazio marino
Caro direttore, si è parlato di «squallido compromesso», di «capolavoro di ipocrisia» ma la decisione assunta lo scorso 24 luglio dal Consiglio europeo per i finanziamenti da destinare alla ricerca sulle cellule staminali mi pare piuttosto ispirata alla prudenza, un atteggiamento quanto mai adatto, data la serietà della questione.

I ministri riuniti a Bruxelles hanno infatti deciso che l’Unione europea finanzierà solo i progetti che utilizzano le cellule staminali adulte, comprese quelle cordonali, e di limitare gli studi sulle embrionali alle linee cellulari già esistenti, di fatto già in uso nei laboratori europei e anche italiani. Si vietano, invece, spese per la ricerca che preveda di ottenere cellule staminali attraverso la distruzione degli embrioni, in linea con il principio di precauzione che anche l’Italia aveva raccomandato e che il ministro Mussi ha difeso coerentemente. Vorrei ricordare, affinché l’informazione sia la più completa possibile, che attualmente nel mondo esistono circa settanta progetti sperimentali, applicati sull’uomo, che utilizzano le cellule staminali adulte.

Alcune di queste sperimentazioni hanno dato risultati positivi, per esempio nella cura del la cecità per danni corneali, per malattie cardiache, del sangue o ancora nel caso di ustioni. Al momento, invece, non esiste alcun protocollo clinico in sperimentazione sull’uomo che utilizzi le cellule staminali embrionali e, anche se queste cellule sono studiate in molti laboratori, tuttavia non è stata ancora dimostrata la loro efficacia. Questo non significa che non potrebbero dimostrarsi anche più utili di quelle adulte, anzi, i presupposti scientifici fanno supporre che le loro potenzialità siano ancora maggiori, ma è doveroso sottolineare, per correttezza verso tutti i cittadini e i malati che ripongono in questo tipo di ricerca tante speranze, che oggi non abbiamo ancora certezze.

Pur comprendendo le ragioni di alcune affermazioni che hanno fatto seguito alla deliberazione del Consiglio europeo, non vedo ipocrisia né tanto meno un «macabro mercimonio» in quanto è stato deciso. Non mi pare utile affrontare un dibattito di così elevato livello intellettuale e morale, dividendo il mondo in buoni e cattivi in sensibili all’etica e ignoranti della dignità dell’uomo e della sacralità della vita. Volendo essere pignoli, la vera ipocrisia sta nella nostra legge 40, approvata dal parlamento italiano nella scorsa legislatura. Tale provvedimento proibisce la distruzione degli embrioni a scopo di ricerca, ma non vieta la ricerca sulle cellule staminali embrionali esistenti e quindi, implicitamente, ammette l’acquisto di queste cellule dall’estero.

Mi chiedo allora che etica è quella di invocare la sacralità della vita a casa nostra importando il «lavoro sporco» fatto da altri Paesi? Oggi la comunità scientifica concorda nel sostenere che non vadano creati embrioni ad hoc con lo scopo di distruggerli per prelevarne cellule staminali. In questo settore i progressi della scienza sono rapidissimi e con molta probabilità nel giro di poco tempo sarà possibile creare in laboratorio delle cellule con le stessa pluripotenzialità delle staminali embrionali senza passare per la creazione di embrioni. Dunque in questa direzione la ricerca può essere sostenuta e finanziata senza il rischio di incorrere in problemi di tipo etico. Quello che invece il Consiglio europeo non ha affrontato, ed è li che io vedo una certa ipocrisia, e la questione delle decine di migliaia di embrioni congelati sparsi nelle cliniche per l’infertilità di tutta Europa, la cui fine è certa ma il cui destino è assolutamente indefinito.

L’Italia a questo proposito ha presentato una proposta che non è stata tuttavia accolta in sede europea. Il punto di partenza della mozione italiana muove dal presupposto che gli embrioni attualmente congelati e abbandonati, e che quindi non hanno alcuna destinazione di tipo riproduttivo, prima o poi moriranno o saranno distrutti. Non c’e alcuna scelta nell’abbandonare questi embrioni nei frigoriferi delle cliniche e lasciare semplicemente che il tempo trascorra per poi svuotare le provette e buttarle negli inceneritori. Per evitare di gettare letteralmente via una risorsa che potrebbe essere di grande importanza, si potrebbe forse individuare il momento in cui questi embrioni perdono la capacita riproduttività e si trasformano in blastocisti non più in grado di dare origine ad un feto?

Se si potrà individuare il momento in cui gli embrioni congelati non saranno più impiantabili, potrebbe aprirsi una discussione tra bioeticisti, scienziati, politici che, nel rispetto delle sensibilità di ognuno, possa almeno valutare la possibilità di donare le cellule ai fini di una ricerca che potrebbe cambiare la storia della medicina e soprattutto le sorti di molti malati. Proprio in occasione del dibattito che si è svolto su questo tema in Senato si è parlato di «miracolo» dato che, per una volta, tutte le componenti della maggioranza sono riuscite a convergere su una mozione unitaria condivisa e votata senza spaccature. Personalmente, non credo che sia il termine adatto e non penso che i miracoli siano alla portata dei provvisori senatori della Repubblica. Certamente il recente dibattito all’interno dell’Unione a proposito della ricerca sulle cellule staminali è stato condotto in maniera inusuale e straordinariamente efficace.

Abbiamo verificato che il confronto tra forze politiche differenti è possibile e che, attraverso un dibattito basato sul reciproco rispetto, si può arrivare ad una sintesi costruttiva. Non è stato un percorso semplice e forse il risultato non è stato il migliore possibile. Ma il metodo, basato sul confronto e sulla condivisione, quello sì è stato ammirevole, e alla fine è prevalsa la volontà di giungere ad un risultato accettabile da tutti. Insomma, al Senato abbiamo assistito ad un bell’esempio di dialogo e confronto democratico e al raggiungimento di un risultato positivo, inizialmente ritenuto improbabile, se non impossibile.

Mi sono soffermato sulle vicende del Senato perché sono convinto che sia questa la strada giusta per affrontare tante questioni che ancora oggi creano divisioni all’interno del centrosinistra. Come ha scritto Miriam Mafai qualche giorno fa su questo stesso giornale, riflettendo sul futuro del Partito Democratico, il risultato si può e si potrà ottenere solo se lo si vuole,se c’è la volontà. La volontà di unire le diverse anime progressiste del nostro Paese in un’unica forza politica si è manifestata in molte occasioni da parte dei cittadini elettori e più in generale dell’opinione pubblica. Ora il Parlamento, anche attraverso l’esperienza del gruppo unico dell’Ulivo, sta dando prova di unità e di saper condurre il confronto nel rispetto delle differenze. Tutto questo può tradursi in uno stimolo in più per i leader politici che stanno guidando la formazione del nuovo Partito Democratico per trovare terreni condivisi su cui articolare la discussione guardando al di là degli aspetti tecnici ed organizzativi.

l’aurore è chirurgo e presidente della Commissione Sanità del Senato